CAUCASO, conflitto armeno-azero. Il punto di vista dell’ambasciatore di Azerbaijan presso la Santa Sede

Proseguono i contrasti tra Baku ed Erevan sulla questione del Nagorno-Karabach, territorio che in luglio ha registrato una ennesima escalation, con scontri che hanno causato la morte di sedici persone. La dichiarazione è stata rilasciata all’agenzia ACI Stampa

Proseguono i contrasti tra Armenia e Azerbaijan sulla questione del Nagorno Karabach, che alla meta dello scorso mese di luglio ha registrato una escalation, con scontri che hanno causato la morte di sedici persone, decessi dei quali le parti attribuiscono all’altro le responsabilità.

In una dichiarazione rilasciata all’agenzia ACI Stampa, l’Ambasciata dell’Azerbaijan presso la Santa Sede aveva accusato gli armeni di essere responsabili della violenta deriva. In una nota, infatti, si affermava tra l’altro che «in questo modo l’Armenia voleva mettere in discussione il principio che l’Azerbaijan potesse essere un partner affidabile nella gestione del gas».

Dal canto suo, l’ambasciatore armeno aveva in seguito replicato respingendo questa accusa, sottolineando invece le responsabilità azere in ordine ai fatti, sottolineando la presenza di una “longa manus” turca dietro le attività azere.

Successivamente, il diplomatico azero assegnato presso la Santa Sede, Rahman Saih Oglu Mustafayev, ha quindi inteso chiarire ulteriormente la sua posizione rendendo alcune dichiarazioni all’agenzia di stampa ACI, nelle quali ha fatto riferimento a una «provocazione armata» nella regione di Tovuz, che secondo lui avrebbe «inferto un duro colpo al processo di pace sulla risoluzione del conflitto armeno-azero del Nagorno Karabach».

Mustafayev ha poi sottolineato che questo sviluppo della situazione «ha minato la fiducia azera nel Gruppo di Minsk e nell’OSCE, ma che, comunque, Baku ha intenzione di andare avanti seguendo anche l’appello del papa», che egli ha definito «equilibrato e costruttivo», a coinvolgere la comunità internazionale.

Il diplomatico azero ha ricordato che il quadro giuridico e politico per la soluzione del conflitto è stato definito nelle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 1993, nonché nelle successive decisioni dell’OSCE, in particolar modo il vertice OSCE di Budapest del dicembre 1994.

Egli ha rilevato che si tratta di «un approccio graduale, che significa come prima cosa il ritiro immediato, completo e incondizionato delle forze armate dell’Armenia da tutti i territori occupati dell’Azerbaijan, quindi il ripristino delle relazioni compromesse e dei legami tra la comunità armena e quella azera nel Nagorno Karabch, infine, lo sviluppo economico della regione, che dovrebbe coinvolgere la comunità armena».

Riguardo lo status dei territori, Mustafayev ha puntato il dito contro Erevan, che a suo avviso «interpreterebbe a proprio piacimento il principio di autodeterminazione, un principio che è già stato soddisfatto dall’Armenia con la costituzione del suo stato nel 1991, ma che non può essere soddisfatto a discapito di altri Stati sovrani».

Per quanto concerne invece il rispetto dei diritti umani nella regione, egli ha affermato che «quasi 700.000 azeri, russi e curdi sono stati deportati da sette dipartimenti adiacenti al Nagorno-Karabach occupati nel 1992-1993. Inoltre, 40.000 azeri sono stati espulsi dal Nagorno-Karabach, il che rappresenta più del 21% della popolazione della regione dall’inizio del conflitto nel 1988. Tutti questi rifugiati hanno diritti e libertà e devono essere ripristinati».

«In altre parole – ha concluso l’ambasciatore azero – la nostra posizione sul rispetto dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian e sull’autodeterminazione del Nagorno-Karabach nella sua interezza, proteggendo i diritti e le libertà delle sue due comunità, quella armena e quella azera, si basa su un chiaro quadro giuridico internazionale. Ma una solida base legale non è sufficiente per andare avanti. C’è bisogno, come ha giustamente sottolineato il Pontefice, del coinvolgimento attivo della comunità internazionale e della buona volontà delle parti in conflitto».

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