GOLFO PERSICO, crisi. Abdel Rahman a Al-Thani (Qatar): «Nel Golfo, le controversie politiche prevalgono sui bisogni della popolazione»

In un’intervista recentemente rilasciata al quotidiano francese “Le Monde”, il ministro degli esteri di Doha affronta il tema dell’embargo al quale è stato sottoposto il suo Paese dal resto del Consiglio di Cooperazione del Golfo

Intervista di Benjamin Barthe pubblicata da “Le Monde” il 6 giugno 2020 – Il ministro degli Esteri del Qatar, Mohamed bin Abdel Rahman a Al-Thani, ripercorre la crisi con l’Arabia Saudita e i suoi alleati a tre anni dal suo inizio e afferma di essere pronto «a discutere una soluzione a lungo termine».

Dal 5 giugno 2017 gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, il Bahrain e l’Egitto hanno posto il Qatar – che accusano di compiacenza nei confronti degli islamisti e di Teheran – sotto embargo diplomatico ed economico.

In occasione dei tre anni di questa crisi, Mohamed bin Abdel Rahman Al-Thani, ministro degli Affari Esteri dell’emirato, riflette sulle conseguenze, in un momento in cui tutti i Paesi del Golfo Persico si trovano ad affrontare l’epidemia di Covid-19.

Le Monde – Lo scorso autunno abbiamo visto alcuni segni di rilassamento tra gli attori della crisi del Golfo. E poi questo riavvicinamento è cessato. A che punto siamo oggi?

Mohamed bin Abdel Rahman a Al-Thani, ministro degli Affari esteri del Qatar – Sfortunatamente gli sforzi dell’anno passato non hanno funzionato, sebbene ci siano stati progressi. Sembra che l’altra parte non volesse impegnarsi in veri e propri negoziati. Tuttavia, continuano gli sforzi di mediazione da parte dell’Emiro del Kuwait e degli Stati Uniti. Rimaniamo pronti a discutere una soluzione a lungo termine, purché non violi la nostra sovranità e non violi il diritto internazionale. Ma bisogna capire che questa crisi è stata orchestrata da zero, con una campagna diffamatoria e di propaganda contro il Qatar, che non aveva giustificazioni e che continua ancora oggi. Se non c’è stata alcuna svolta nei negoziati, è perché la natura premeditata della crisi non è mai stata riconosciuta.

Gli Stati Uniti stanno lavorando per risolvere la questione aerea della crisi, spingendo l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti a riaprire i loro cieli agli aerei della Qatar Airways. Quanto è determinato Washington?

Non sono stati ancora compiuti progressi, ma restiamo in stretto contatto con gli americani. Questa storia è stata illegale sin dall’inizio: il nostro caso è dinanzi al Tribunale penale internazionale e all’Organizzazione internazionale per l’aviazione civile e speriamo di recuperare il nostro spazio aereo.

Nel dibattito sul mondo futuro, qual è la posizione del Qatar? Cosa deve essere cambiato in modo che una crisi sanitaria come quella che abbiamo attraversato non si ripeta?

Nessun Paese può sentirsi più al sicuro, questa è la novità. Le epidemie precedenti, come quella della SARS, non si erano realmente diffuse in regioni diverse da quelle in cui erano emerse. Ma la pandemia di Covid-19 ha raggiunto tutti noi. Quindi la prima lezione di questa crisi è che ogni Paese del mondo ha bisogno di un sistema sanitario resiliente in grado di far fronte (all’emergenza). In secondo luogo, è necessario rafforzare il multilateralismo e la cooperazione internazionale, per garantire che i Paesi dispongano di una piattaforma unificata per lo scambio di opinioni ed esperienze. Infine, dobbiamo garantire la protezione delle catene di approvvigionamento, in modo da poter soddisfare le nostre esigenze interne, ma anche quelle di altri Paesi.

Il Consiglio di Cooperazione del Golfo (la struttura di cooperazione delle sei monarchie della Penisola Arabica) può superare le divisioni tra i suoi membri per aiutarli a far fronte alla crisi economica post-Covid?

Il blocco del Qatar ha danneggiato il CCG. Speravamo che in questo periodo di crisi globale la saggezza avrebbe prevalso e che le sfide che avremmo affrontato avrebbero rilanciato la cooperazione regionale. Sfortunatamente il CCG rimane paralizzato. Durante la pandemia, a Riad è stata organizzata una riunione dei ministri della Salute dei suoi Paesi membri. Sfortunatamente al nostro ministro non è stato permesso di volare a Riad fino alla fine della riunione. Ciò dimostra una mancanza di serietà nell’affrontare la crisi. Le controversie politiche prevalgono sui bisogni dei nostri popoli. La mentalità del blocco è più forte.

In vista dei Mondiali di Calcio del 2022 che si terranno sul suo territorio, il Qatar ha ripetutamente promesso l’abolizione della Kafala (il sistema che lega i lavoratori migranti nel Golfo ai loro datori di lavoro). Ma nonostante i progressi, l’effettiva revoca di questo sistema è ancora in sospeso …

Abbiamo compiuto molti progressi nell’ambito dei diritti dei lavoratori. Stiamo abolendo completamente la Kafala.

I lavoratori non devono più ottenere un visto di uscita per viaggiare. Ma è ancora richiesto il certificato di non obiezione, e senza questo documento i migranti non possono cambiare lavoro liberamente …

I migranti che vogliono cambiare lavoro e a cui è stato illegalmente impedito dal loro datore di lavoro possono fare appello all’ufficio per le denunce sul lavoro. La revoca del certificato di non obiezione dovrebbe essere implementata a breve e presto verrà introdotto il salario minimo.

Quali lezioni possiamo trarre dal fiasco di Khalifa Haftar, questo Maresciallo libico dissidente, che ha appena perso la battaglia di Tripoli contro le forze del governo di accordo nazionale di Faïez Sarraj?

Fin dall’accordo di Skhirat del 2015 noi diciamo che il conflitto in Libia deve essere risolto con un processo politico e non con colpi di stato e aggressioni militari. Haftar ha sempre preferito la violenza. È interessato al processo politico solo quando perde un round, solo per tornare alla carica. Se c’è una lezione da imparare, è che la comunità internazionale deve rispettare il processo politico, all’interno del diritto internazionale e delle risoluzioni delle Nazioni Unite. Ciò avrebbe salvato molte vite libiche e risparmiato significative risorse del Paese.

Il Primo ministro Benjamin Netanyahu potrebbe annunciare a luglio l’annessione di parte della Cisgiordania. Questo progetto è criticato in maniera quasi unanime. Ma non c’è accordo su come reagire. Lei che cosa raccomanda?

Respingiamo questa iniziativa, che equivale a piantare l’ultimo chiodo della bara del processo di pace. L’annessione di questi territori seppellirà ogni possibilità di risolvere il conflitto in futuro. Le implicazioni riguardo alla sicurezza, economiche e sociali saranno catastrofiche per l’intera regione. Molti Stati condividono questa posizione. Ma la realtà è che non vediamo un accordo nella comunità internazionale su come mettere in atto questa posizione. È una questione antica quanto l’occupazione israeliana.

Il Qatar ha accolto con favore la firma di uno storico accordo di pace tra Stati Uniti e Talebani afgani a febbraio. Da allora diversi attacchi hanno avuto luogo nel Paese. Cosa si può fare per preservare questo trattato che sembra essere sull’orlo del collasso?

Non c’è alcun collasso. Questo accordo è sempre stato visto come un primo passo. La vera pace arriverà solo quando il governo di Kabul da un lato e i talebani dall’altro si parleranno. Speriamo che questo dialogo tra gli afgani inizi presto.

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