Quella di oggi era una data molto attesa, infatti, seppure l’opprimente pandemia e le quotidiane polemiche politiche italiane l’avessero messa un po’ in ombra, la sentenza della corte costituzionale tedesca era comunque un momento molto atteso, poiché da essa sarebbero potute dipendere le dinamiche economiche attuali e future in Europa.
I giudici costituzionali di Karlsruhe si sono dunque pronunciati, oggetto della decisione era la legittimità o meno del piano di acquisti di titoli della Banca centrale europea (Bce), quel Quantitative easing (Qe) voluto cinque anni fa dal presidente Mario Draghi.
Un procedimento avviato su istanza di ricorrenti che ritenevano il piano di acquisti di titoli di stato da parte della Bce incompatibile con la legge della repubblica federale tedesca e che, quindi, ottenendo la pronuncia di incostituzionalità avrebbero di fatto imposto alla Germania la non partecipazione ai piani di acquisti comuni.
Risulta oltremodo evidente che un risultato del genere si sarebbe riflesso negativamente su tutti quei paesi membri dell’Unione europea particolarmente esposti sul piano del debito pubblico, come l’Italia e la Grecia, ma anche la Spagna e il Portogallo.
Paesi che fino a oggi avevano potuto beneficiare dei programmi di acquisto di titoli grazie al Pspp (Public Sector Purchase Programme), che ha consentito i Qe1 e Qe2 e, dalla metà dello scorso mese di marzo, anche del Pepp (Pandemic Emergency Purchase Programme), quest’ultimo necessitato dall’emergenza provocata dalla diffusione della pandemia nel Vecchio continente, un piano da 750 miliardi di euro che avrà una durata almeno fino alla fine di quest’anno, auspicando un rapido contenimento dei contagi da Covid-19.
Un asset purchase programme il Pepp, che, data la sua natura emergenziale, rispetto ai due precedenti (Qe1 e Qe2) non prevede requisiti eccessivamente restrittivi, poiché consente l’acquisto di obbligazioni aventi un rating non necessariamente al di sopra del livello «junk» (spazzatura), cioè di quell’investment grade che invece vincola le operazioni su gli altri titoli del debito pubblico emessi nel quadro del Pspp.
Ebbene, il verdetto emesso oggi a Karlsruhe se da un lato può venire considerato preoccupante, dall’altro lascia però aperti degli spiragli di speranza riguardo al futuro dell’Europa.
Infatti, esso lascia fuori il Pepp. Poi considera il Qe «legale» ma «sproporzionato», poiché la sentenza stabilisce che è vero che il Pspp «non finanzia gli Stati», e quindi «rispetta il divieto imposto dal Trattato della monetizzazione dei debiti pubblici dei membri, tuttavia accoglie quelle parti del ricorso relative al mancato rispetto della proporzionalità della Bce con riguardo agli acquisti dei titoli di Stato e alla ripartizione delle competenze tra l’Unione europea e i suoi Stati membri.
La Corte ha quindi rinviato la questione al Consiglio direttivo della Bce, concedendogli tre mesi da oggi per rendere nota una propria decisione «comprensibile e corredata da argomentazioni» in grado di assicurare che gli obiettivi di politica monetaria perseguiti mediante il Pspp non producano effetti di natura economica e fiscale «non proporzionati».
In particolare, a Francoforte viene richiesta la verifica del reinvestimento del capitale dei titoli di Stato rimborsati e giunti a scadenza dal gennaio 2019, relativi al Qe1 (avviato nel marzo 2015 e cessato nel dicembre 2018) e al Qe2 avviato nel novembre 2019.
Quella di oggi non è stata la prima volta che i giudici costituzionali della Repubblica federale tedesca si sono espressi sulla legittimità di provvedimenti varati dall’Unione europea, poiché nel recente passato erano state poste in discussione le Omt, gli interventi in sostegno dell’economia greca e persino il Trattato di Maastrich, ma in tutti questi casi era stata sanzionata la legittimità degli atti, seppure vi fossero apposti dei vincoli.
Cosa dire allora della sentenza appena emessa? Se ne può ricavare una lettura politica?
Nell’immediatezza della diffusione del contenuto di essa alcuni commentatori animati da pessimismo hanno espresso inquietudine riguardo alla stessa stabilità della moneta unica, ritenendola ormai «minata».
È presto per affermarlo, anche perché non se ne dispone ancora il testo completo. Certamente è preoccupante, dato che potrebbe ostacolare l’azione di Christine Lagarde nel 2021, tuttavia, paradossalmente questo difficile passaggio potrebbe configurarsi addirittura come un’opportunità.
Come? Qualora la vacillante Unione europea di fronte a questa grave crisi di natura economica e sanitaria non dovesse sfaldarsi, magari per inerzia, potrebbe cercare di sfruttare a proprio vantaggio la precaria situazione per compiere il “salto di qualità” trasformandosi in “Federazione degli Stati europei” dotandosi di organi sovranazionali riconosciuti e di un proprio adeguato bilancio.
Lo statuto della Bce prevede per essa esclusive funzioni in materia di contenimento dei prezzi (inflazione), ma non il perseguimento di obiettivi di economia reale come crescita e occupazione.
A suo tempo, in una fase nella quale questo si rese necessario e impellente, Mario Draghi si trovò nelle condizioni di poter immettere liquidità nel sistema economico europeo grazie alle sue capacità (e alla volontà) di sfruttamento delle possibilità offertegli dalla pur stringente cornice normativa, infatti, si insinuò nella forbice aperta dal tasso di inflazione (allora allo 0,5%, quindi ben sotto il limite massimo del 2%) ed emise moneta stampando euro con i quali gli Stati che in quel momento versavano in gravi difficoltà a causa della crisi finanziaria propagatasi dagli Usa, poterono collocare sul mercato quote di propri titoli del debito pubblico.
Draghi alimentò sì, in alcuni settori della politica tedesca, la perniciosa Sindrome di Weimar, però riuscì anche a dare ossigeno alle economie di non pochi Paesi membri dell’Unione.
Egli poté fare questo, cioè agire sostanzialmente sullo statuto della Bce che presiedeva, grazie al sostegno ricevuto dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, discepola di Helmut Kohl.
Tutto dipenderà dalle risposte – non soltanto quelle meramente formali – che forniranno le istituzioni europee nei prossimi giorni. In fin dei conti la Germania sarebbe la prima ad avere interesse al mantenimento della coesione europea, magari consentendo una modifica dello statuto della Bce, un potenziale primo passo in avanti verso la costituzione di una Federazione europea.
Ascolta di seguito l’audio integrale dell’intervista