AUTOMOTIVE, crisi economica. Il coronavirus ha abbattuto il settore: Federauto chiede aiuto al Governo

Audito di fronte alle Commissioni parlamentari riunite in sede referente, Attività produttive e Finanza, nel quadro della promulgazione del Decreto legge nr.23/2020, Adolfo De Stefani Cosentino, rappresentante di Federauto, ha dipinto un quadro a tinte fosche della situazione

Audito di fronte alle Commissioni parlamentari riunite in sede referente, Attività produttive e Finanza, nel quadro della promulgazione del Decreto legge nr.23/2020 – recante misure urgenti nel quadro dell’accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici nonché interventi in materia di salute, lavoro e proroga di termini amministrativi e processuali -, Adolfo De Stefani Cosentino, rappresentante di Federauto, ha dipinto un quadro a tinte fosche della situazione

Quello dell’automotive è da sempre un settore trainante dell’economia italiana, prima della crisi indotta dalla pandemia da Covid-19 contava almeno 200.000 imprese per un fatturato annuo di 335 miliardi di euro (dati anno 2018), il 19,5% del prodotto interno lordo di allora, occupando oltre 1.200.000 addetti.

Federauto è l’associazione di categoria che rappresenta una serie di imprese di diversa tipologia, da quelle che svolgono attività di produzione a quelle di distribuzione e assistenza.

Il comparto dell’automotive era già oggetto di attenzione da parte dell’esecutivo da qualche mese prima della diffusione del contagio del virus, in quanto in oggettiva difficoltà e questo per due sostanziali motivi: il mercato dell’auto aveva iniziato a deprimersi, mentre il parco auto italiano risultava essere tra i più vecchi d’Europa, con tutti i conseguenti problemi di inquinamento.

Secondo Federmotori i bonus malus introdotti con la Legge di bilancio del 2018 non avevano portato al conseguimento di risultati di rilievo sul piano delle vendite, poiché nel 2019 erano state poi immatricolate 1.916.000 autovetture, una performance di mercato non esaltante nonostante gli incentivi concessi dal Governo.

Alla fine del mese di febbraio del 2020, quindi prima del divampare della crisi sanitaria ed economica provocata dal coronavirus, il settore arrancava evidenziando un -7% rispetto all’anno precedente, di per sé anch’esso negativo in quanto in flessione del 5% rispetto al 2018.

Poi è arrivata la pandemia che ha portato al crollo delle immatricolazioni: -86% in marzo e -98% in aprile, con un bilancio al maggio 2020 di una flessione del 50% rispetto all’anno precedente.

Il giorno della prima riduzione del blocco delle attività nel Paese, che è coinciso con quello dell’audizione in Parlamento del rappresentante della categoria, il settore italiano dell’automotive è in piena crisi e le prospettive non sono certamente rosee.

La capacità di spesa dei consumatori si è oltremodo ridotta – sempre oggi, per inciso, sono state registrate insolite code presso i banchi dei pegni -, inoltre l’automobile è un bene durevole, che solitamente una persona che si trova in difficoltà economiche non rinviene come prioritario nella propria lista degli acquisti.

Non solo, al momento uno degli effetti disastrosi della crisi è stato quello di provocare una riduzione di entrate per l’Erario pari a dieci miliardi di euro tra accise sui carburanti, mancati incassi dell’Iva e altro.

Al tempo della grande crisi precedente, quella del 2011, quando si registro un calo del 23% del mercato il 50% delle concessionarie di auto chiuse i battenti, e i rivenditori diminuirono da 2.700 a 1.350.

Medesimo discorso vale per i veicoli commerciali e per quelli industriali oltre i 35 quintali e si prevede un rischio chiusura per circa il 70% delle concessionarie ancora in esercizio.

Dal settore, unito in blocco, vengono dunque espresse delle richieste al Governo, prima tra tutte l’aumento della fascia di emissioni da 61 a 95 grammi di CO₂ a chilometro nella considerazione dei beneficiari dei bonus, un allargamento della fascia di contributi con, inoltre, la sospensione del malus almeno fino alla fine del 2020.

Negli attuali ventisette Stati membri dell’Unione europea soltanto in Italia a un possessore di partita Iva non è concesso di detrarsi l’imposta sull’acquisto di un’autovettura, si tratta di una indeducibilità che viene prorogata di biennio in biennio dal Parlamento fin dal 1979.

Questo ha l’effetto di penalizzare il settore e al contempo aggravare di un costo il possessore di partita Iva.

Riguardo al provvedimento in discussione al Parlamento, il Decreto legge nr.23/2020, Federauto si allinea a Confcommercio, di cui fa parte, sostenendo la necessità della massima tempestività da parte dell’Esecutivo e dell’apparato burocratico nell’erogazione dei finanziamenti e anche chiarezza, poiché le banche «iniziano a fare problemi».

«Non vanno poi confuse le eventuali concessioni di credito per ristrutturazione o rinegoziazione del debito piuttosto che per nuova finanza», perché – ha affermato il rappresentante di Federmotori – «un conto è quello già esistente e un conto è quello che ci serve per far fronte all’emorragia finanziaria di questi giorni».

Le previsioni sull’andamento del mercato per il 2020, nella migliore delle ipotesi e a fronte di un sostegno da parte del Governo, si attestano a un -30 per cento.

Gli stock di autovetture invendute: Federmotori chiede al Governo dei sostegni al consumo al fine di smaltirli e l’innalzamento della quota detraibile relativa all’ammortamento dell’autoveicolo.

Infine, la richiesta di approfittare dell’occasione per svecchiare il parco auto italiano, datato e inquinante, il 60% delle autovetture circolanti è delle categorie 0-4.

Federmotori non chiede finanziamenti a fondo perduto, ma dilazioni nelle scadenze di pagamento dei finanziamenti erogati.

Al pari degli altri settori in crisi nel Paese anche l’automotive cerca di ridurre il danno.

Infine, va sottolineato un aspetto importante: l’Italia non è più un grande produttore di autoveicoli come lo è stato nel passato, però è un grande produttore di componentistica, il maggiore in Europa.

Anche questo settore andrà necessariamente incontro a un radicale rinnovamento, poiché dovrà passare dai motori endotermici ai propulsori elettrici, una transizione che la crisi potrebbe colpire a morte proprio nel momento della sua transizione se non si interverrà tempestivamente.

A parte la 500 elettrica della Fca che Marchionne venne costretto a produrre negli Usa, l’Italia è più indietro sulla trazione elettrica, quindi si dovrebbe impedire di frustrare queste ultime possibilità per le imprese attive nella componentistica di effettuare la transizione.

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