UNGHERIA, deriva autoritaria. La pandemia da Covid-19 e le ipoteche sui diritti civili

Nell’intervista con il professor Federigo Argentieri viene affrontata l’allarmante dinamica che interessa il Paese magiaro, purtroppo non scevro da inquietanti rigurgiti ultranazionalisti e antisemiti

«Con Orban libertà di stampa a rischio», intervista di Roberto Pagano a Federigo Argentieri pubblicata dal qu tidiano Online Avanti! il 3 maggio 2020 – Con Federigo Argentieri, docente di Scienze Politiche alla John Cabot University di Roma, grande studioso dell’Ungheria e autore, tra l’altro, di rilevanti studi e volumi sulla rivoluzione del 1956 e la sinistra italiana, l’Avanti! affronta l’allarmante situazione a Budapest, a qualche settimana dall’approvazione della nuova ‘legge di autorizzazione’, voluta dal primo ministro Viktor Orbán e dal suo partito, che gli (auto) affida, in nome della lotta al Covid-19, tutto il potere senza alcun limite temporale.
Varata con i due terzi dei seggi parlamentari detenuti dalla sua Fidesz, contrari l’opposizione socialista, i liberali e l’estrema destra di Jobbik, qualificati dal leader budapestino come partiti «amici del virus» con posizioni «antinazionali», il provvedimento ha ulteriormente stravolto l’equilibrio tra i poteri e le libertà individuali e di stampa, già compromessi dalla decennale gestione autoritaria e monopolistica del premier magiaro.

Avanti! – Professor Federigo Argentieri, l’Ungheria è nuovamente al centro dell’attenzione della comunità internazionale e, soprattutto, dei paesi democratici europei. A Budapest registriamo una situazione politica e istituzionale inedita, una ulteriore compressione delle libertà, nonostante una Costituzione ridisegnata nel tempo a immagine e somiglianza del partito dominante e del suo leader Orbán.

Federigo Argentieri – Viktor Orbán, oramai di fatto al potere da quasi dieci anni, si è reso e si rende protagonista di una discussione internazionale, in quanto il suo esecutivo ha approvato una serie di misure che, perlomeno nelle intenzioni dichiarate, servirebbero a contrastare la diffusione del Coronavirus in Ungheria.

Queste decisioni, che sono state approvate a fine marzo dal Parlamento con la maggioranza prevista di due terzi (138 voti a favore, 53 contrari e 8 astenuti su 199 deputati), sembrano in realtà fatte apposta per limitare ulteriormente alcune libertà individuali.


Quali gli aspetti più gravi della legge?

In questo provvedimento ci sono due componenti che indicano intenzioni autoritarie più o meno dichiarate.

La prima è che il Presidente del Consiglio ha un potere decisionale rispetto allo svolgimento delle elezioni.

E checché ne dicano le autorità ungheresi, che si difendono e lo negano, se il premier decidesse che non è opportuno tenere le elezioni politiche alla scadenza naturale del 2022 ma esse vanno rinviate, ciò sarebbe difficile da contrastare in base a questo decreto.

A meno che il Parlamento non decidesse di esautorare il Governo, cosa che appare molto difficile nelle circostanze attuali.

L’altro aspetto che incute grave preoccupazione è il fatto che chiunque dovesse essere ritenuto responsabile di diffondere notizie false può essere condannato ad una pena da uno a cinque anni, una pena severissima.

Quindi la stampa, l’informazione – di cui peraltro si celebra il 3 maggio la Giornata mondiale -, ma anche i cittadini dubbiosi o critici vengono completamente “normalizzati”, dopo che la quasi totalità dei media già sono sotto l’influenza diretta o indiretta della Fidesz?

Naturalmente, il problema è chi decide se una notizia è falsa o no. In base ai riscontri si può, tutto sommato, valutare se una notizia che viene diffusa è falsa o no.

Ma poi la domanda successiva è: si punisce qualcuno per la diffusione intenzionale di notizie false oppure si punisce qualcuno anche per la diffusione non intenzionale di tali notizie?

E qui entriamo in un terreno minato per la libertà di espressione, perché, poi, qual è il confine tra la diffusione di notizie false e la libertà di opinione?
Se, per esempio, qualcuno dicesse o scrivesse che il governo è inadeguato a fronteggiare la situazione – e in Italia lo scrivono a milioni ed è loro diritto e lo si può fare -, adesso invece in Ungheria si rischia pesantemente.

Contrariamente a quel che pensano alcuni fans di Orbán in Italia, noi siamo lontani anni luce dalla logica autoritaria del governo ungherese.

Se qualcuno scrivesse che l’azione governativa non è efficace a combattere il Coronavirus, come verrebbe interpretata questa affermazione?

Ipotizziamo che tale informazione venga fatta su un organo di stampa o su un social media molto seguito o addirittura detta pubblicamente in una riunione, in un comizio o in un discorso.

Una critica di questo tipo non potrebbe essere immediatamente interpretata, magari da un tribunale compiacente, come la diffusione di una notizia falsa?

Sì. A questo punto il cerchio sarebbe chiuso, perché chi avesse criticato l’esecutivo, come – ripeto – a milioni fanno in Italia per qualunque motivo, anche in modo pretestuoso, potrebbe essere incarcerato con pene durissime, fino a cinque anni di carcere. Sia chiaro, il sillogismo non è affatto astruso, mettiamocelo bene in testa.

Come valuta la reazione dei paesi partner dell’Unione europea e all’interno del Partito Popolare Europeo? Si è manifestata preoccupazione e qualche protesta, ma poi?

Le reazioni internazionali sono state dettate da sconcerto e frustrazione.
Sconcerto, in primo luogo, perché anche se chi conosce Orbán non è rimasto sorpreso, molti hanno pensato che per lui non era il momento di dedicarsi ad una accentuazione del suo autoritarismo.

Invece, il momento era molto opportuno, dal punto di vista del governo magiaro, perché l’attenzione degli altri paesi era tutta rivolta alla questione della espansione della pandemia e al tentativo di arrestarla. E dunque le energie da dedicare alla critica di Orbán sono state limitate.

Esiste nell’Unione europea un modo più efficace di quelli adottati finora per scoraggiare il leader della Fidesz dal proseguire su questa strada? Ricordiamo le periodiche polemiche tra Budapest e Bruxelles sulla questione della condivisione europea dell’immigrazione e sulla riaffermazione di un nuovo Stato-Partito, anche nel campo economico. Ma come intimare a Orbán di fermarsi, magari paventandogli una esclusione dall’Ue?

In questo momento no. Non esistono le condizioni, per il semplice motivo che per sospendere o espellere uno Stato membro dall’Unione e

ropea ci vuole l’unanimità. Una unanimità che, in questo momento, non si raggiungerebbe.

E questo non solo perché la Polonia ha un governo (l’ultraconservatore e nazionalista PiS, Diritto e Giustizia, NdR) affine a quello di Orbán con cui è molto solidale, ma anche perché altri Stati membri, come, ad esempio, la Germania, avrebbero più di una perplessità a sospendere, o addirittura, ad espellere l’Ungheria.
Quindi questa prima strada non sembra praticabile, a meno di una riforma, di un emendamento significativo al pacchetto legislativo noto come Trattato di Lisbona, che permetta di procedere in questa direzione.

Una seconda strada percorribile è il Partito Popolare Europeo, l’organizzazione sovranazionale che raduna i partiti conservatori non solo dell’Unione europea, ma anche di altri paesi.

Tredici dirigenti di altrettanti paesi, in realtà dodici dell’Ue, più la Norvegia che non è uno Stato membro dell’Unione, hanno firmato e inviato subito dopo il varo della legge ungherese, una lettera al presidente del PPE, il polacco Donald Tusk, dicendogli di buttar fuori la Fidesz, il partito di Orbán.

Questa lettera però non è stata firmata dai dirigenti dei partiti membri di centro destra di Germania, Francia, Spagna e Italia, che indico qui in senso antiorario. Per motivi diversi, questi partiti non hanno firmato. Ma, in particolare, la Germania è il punto centrale.

La decisione del PPE sulla Fidesz è di mantenere questo partito soltanto “sospeso” dall’organizzazione, per poi affrontare di nuovo in giugno la questione, molto irrisa dal leader sostenitore della “democrazia illiberale”. Ma ci inquadra, professor Argentieri, la peculiare posizione tedesca sull’Ungheria?

Berlino, come governo e come Stato e partito (l’Unione democristiana Cdu/Csu, NdR) non vuole prendere nessuna misura contro Orbán, almeno finché questi non metterà qualcuno in carcere.

Se il premier ungherese comincia a usare metodi putiniani o erdoganiani, allora forse la Germania cambierà atteggiamento.

Ma finché ciò non accadrà, fino ad allora Berlino non muterà la sua posizione, perché la Germania è eternamente grata all’Ungheria per aver permesso la sua riunificazione trenta anni fa. E questo è un dato incontrovertibile, un elemento immutabile.

Inoltre, c’è tutta la questione dei poderosissimi investimenti – e di cui è esperto l’amico e collega Stefano Bottoni -, della Germania in tutti i settori dell’economia ungherese.

Ci sono strettissimi legami tra i due paesi e questo Orbán lo sa benissimo. Il primo ministro budapestino sa anche che la stampa tedesca e, occasionalmente, anche i politici ogni tanto diranno cose durissime sul suo conto, ma sa anche che, nella fattispecie, non ci saranno misure concrete contro di lui.

E dunque, finché questa situazione perdura, Orbán rimane abbastanza tranquillamente al suo posto, anche se naturalmente si lamenta e continuerà a lamentarsi per il trattamento riservatogli dalla stampa, tutta asservita ai vari “interessi cosmopoliti” o ai George Soros, eccetera.

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