UNGHERIA, deriva autoritaria. L’ultimo successo di Orban sulla via del liberticidio

Approfittando dell’emergenza coronavirus il premier magiaro ha fatto compiere al suo Paese un altro decisivo passo in direzione della limitazione della libertà personale e dei diritti individuali. Come sempre l’Unione europea, erogatrice di cospicui fondi strutturali a Budapest, resta a guardare

Approfittando dell’emergenza causata da coronavirus, per altro non così virulenta in Ungheria, il premier magiaro Viktor Orban ha fatto compiere al suo Paese un altro decisivo passo in direzione della limitazione della libertà personale e dei diritti individuali, come quello di espressione, messo a serio rischio dalle sanzioni penali previste a carico di coloro i quali «diffonderanno informazioni false».

È ormai da tempo che l’Ungheria ha imboccato il sentiero della deriva autoritaria, ma oggi quello che nel 1989 da Budapest si proponeva al mondo occidentale come uno dei campioni della libertà e dell’anticomunismo, oggi ripaga un’insenziente Unione europea sull’orlo del tracollo con la giusta moneta.

Ricorrendo strumentalmente al pretesto del mantenimento della sicurezza interna e dell’incolumità dei cittadini ungheresi messa a repentaglio dal diffondersi dei contagi da Covid-19, ha fatto votare dalla maggioranza parlamentare di destra (Jobbik e Fidesz) che sostiene il suo esecutivo un provvedimento che gli conferisce poteri speciali illimitati, nel senso che non hanno limiti temporali.

Soltanto 53 parlamentari hanno votato contro.

Egli ora, se lo riterrà opportuno, potrà dunque sospendere le elezioni legislative e addirittura chiudere l’Assemblea nazionale. Governerà l’Ungheria emanando decreti e deciderà lui quando sarà opportuno porre termine allo stato di emergenza.

Un pessimo segnale, che giunge in una fase estremamente critica per l’Unione europea, dilaniata da cronici contrasti sull’allocazione delle risorse anche di fronte all’ecatombe del coronavirus.

Quei soldi che in diversa misura in questi ultimi anni hanno incassato anche gli ungheresi, spesso in violazione dei principi fondamentali dell’Unione europea, denaro che li ha aiutati – a loro e agli altri nuovi partner comunitari usciti dal socialismo reale – a crescere economicamente e socialmente.

Ma quando a Budapest si è davvero oltrepassato il limite a Bruxelles si è rimasti inerti, impotenti davanti a un processo che si preferiva non vedere, oppure, impotenti, si assisteva al fallimento di ogni misura, come l’applicazione dell’Articolo 7, perché in soccorso del governo liberticida giungeva il voto dell’altro grande paese cattolico del Gruppo di Visegrad, la Polonia.

E così tutto finiva lì: l’unanimità non veniva raggiunta, le sanzioni non venivano irrogate e i cospicui fondi strutturali continuavano ad affluire nelle casse di Budapest.

Da Bruxelles per il momento nessuna replica ufficiale, seppure in serata sia stato comunicato che «la situazione è costantemente monitorata e che la Commissione sta valutando le misure di emergenza adottate dagli Stati membri in relazione ai diritti fondamentali».

Quello di oggi rappresenta uno sviluppo liberticida ampiamente previsto, un evento molto grave che, purtroppo, data la contingente tragica situazione della pandemia probabilmente passerà inosservato.

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