SOCIETÀ, carceri. Detenuti in semilibertà: perché mandarli in licenza?

Novità a Rebibbia: Annamaria Trapazzo, direttrice della Terza Casa circondariale concede 15 giorni di licenza ai “semiliberi”. Una scelta allo stesso tempo intelligente e difficile assunta per ridurre la promiscuità nelle celle in una fase di diffusione esponenziale del coronavirus. Costituisce tuttavia un importante precedente dal quale partire per porre mano al problema del sovraffollamento delle carceri italiane; insidertrend.it ne ha parlato con SERGIO D’ELIA, segretario di Nessuno tocchi Caino

Si tratta di una evento importante, che dunque merita il dovuto risalto: la dottoressa Annamaria Trapazzo, direttrice della Terza Casa circondariale del complesso detentivo romano di Rebibbia, ha assunto un provvedimento di concessione di una licenza della durata di quindici giorni della quale beneficeranno una cinquantina di detenuti in regime di semilibertà, cioè quelli che nell’ultima parte della loro pena vengono ammessi a lavorare fuori dal carcere durante il giorno per poi fare rientro in cella alla sera.

Una decisione intelligente ma allo stesso tempo difficile.

Intelligente poiché il sovraffollamento nelle oltre duecento carceri italiane è un serio problema che non viene risolto ormai da anni, e che con l’emergenza coronavirus rischia di divenire una bomba a orologeria, difficile perché la decisione della funzionaria dell’Amministrazione della Giustizia viene presa nell’immediatezza delle rivolte esplose in numerosi stabilimenti di pena nel Paese.

L’argomento carcere e detenzione è scottante, soprattutto sul piano politico, dato che pochi parlamentari della Repubblica sono disposti a mettersi in discussione propugnando soluzioni razionali alle disfunzioni e alle illegalità che, però, per pregiudizio e imprinting mediatico, l’opinione pubblica tende a rifiutare a priori.

Sarebbe necessaria una maggiore informazione sullo stato delle carceri italiane e sulle condizioni di detenzione di chi vi viene astretto, comparando i dati reali con, ad esempio, i tassi di recidiva delle persone che hanno avuto la fortuna di scontare la loro pena in maniera non degradante.

Infatti, non sono pochi i problemi che affliggono le strutture penitenziarie (e la Polizia penitenziaria che vi opera quotidianamente): sovraffollamento, vitto, salute, carenza di magistrati di sorveglianza, e molto altro.

Questo provvedimento adottato a Rebibbia apre uno spiraglio, una piccola fessura che – magari giocoforza – è auspicabile faccia riflettere i decisori politici, gli operatori dell’informazione e la cittadinanza nella sua globalità e complessità.

Dopo le licenze ai semiliberi ora parrebbe che siano al vaglio gli arresti domiciliari per coloro i quali si trovano a ridosso del «fine pena», mentre viene chiesto – ma questo ovviamente attiene alla particolare contingenza generata dalla pandemia Covid-19 – anche il monitoraggio dei detenuti ultra sessantacinquenni con patologie respiratorie o cardiologiche.

Dopo le violente proteste dei giorni scorsi l’Amministrazione penitenziaria sta provvedendo ad attrezzare gli istituti all’effettuazione di video colloqui, tra i detenuti e i loro familiari, prevedendo anche un incremento del numero di telefonate, tutto questo in sostituzione dei colloqui, sospesi fino al 22 marzo per decreto a causa della diffusione del contagio del virus, allo specifico riguardo sono in distribuzione ai detenuti le mascherine protettive.

Il Garante delle persone private della libertà del Lazio, Stefano Anastasìa, ha affermato che «in questo momento così delicato serve il massimo sforzo di coordinamento tra le Istituzioni e gli operatori sul campo per riportare serenità nel mondo penitenziario e assicurare le misure necessarie alla prevenzione della diffusione del coronavirus in carcere».

Sergio d’Elia, segretario dell’associazione Nessuno tocchi Caino, in un suo editoriale pubblicato questa mattina dal quotidiano “Il Riformista” ha affermato che: «Il governo si mostra incapace di decidere come porre seriamente e tempestivamente rimedio al rischio di contagio e alla sofferenza nell’unico luogo in Italia dove non deve valere la misura cautelare di rarefazione sociale, essendo al contrario tollerato – contro le più elementari leggi della fisica e dei diritti umani – un sovraffollamento del centoventi per cento rispetto alla sua capacità di carico, come al solito, tocca a chi opera sul campo supplire alle mancanze della politica e dell’amministrazione».

Insidertrend.it lo ha intervistato, approfondendo con lui le problematiche relative alla situazione nelle carceri, sia prima che durante questa particolare fase critica che attraversa il Paese, affrontando inoltre il tema delle conseguenze e delle opportunità derivanti dal provvedimento emanato dalla direttrice della Terza Casa circondariale di Roma Rebibbia.

L’audio integrale dell’intervista è fruibile di seguito su questo sito web (A229).

A229 – CARCERI, SOVRAFFOLLAMENTO: CAUSA CORONAVIRUS 50 SEMILIBERI IN LICENZA PER 15 GIORNI. A insidertrend.it di SERGIO D’ELIA, segretario dell’associazione Nessuno tocchi Caino interviene sul provvedimento assunto dalla dottoressa Annamaria Trapazzo, direttrice della Terza Casa circondariale del carcere romano di Rebibbia.
Una scelta allo stesso tempo intelligente e difficile assunta per ridurre la promiscuità nelle celle in una fase di diffusione esponenziale del coronavirus. Costituisce tuttavia un importante precedente dal quale partire per porre mano al problema del sovraffollamento delle carceri italiane
L’argomento carcere e detenzione è scottante, soprattutto sul piano politico, dato che pochi parlamentari della Repubblica sono disposti a mettersi in discussione propugnando soluzioni razionali alle disfunzioni e alle illegalità che, però, per pregiudizio e imprinting mediatico, l’opinione pubblica tende a rifiutare a priori.
Sarebbe necessaria una maggiore informazione sullo stato delle carceri italiane e sulle condizioni di detenzione di chi vi viene astretto, comparando i dati reali con, ad esempio, i tassi di recidiva delle persone che hanno avuto la fortuna di scontare la loro pena in maniera non degradante.
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