LIBIA, negoziati di pace. Haftar non firma la bozza di accordo ma oggi lo accetta, tuttavia prende ancora tempo

Ieri il generale della Cirenaica ha interrotto la trattativa e non ha arretrato le proprie truppe sulla linea del cessate il fuoco definite a Mosca. In queste condizioni perde forza l’ipotesi di una forza di interposizione di militari dell’Unione europea da inviare in Libia su mandato Onu

Khalifa Haftar continua a cercare di guadagnare tempo. Dopo aver formalmente accettato il cessate il fuoco sul campo di battaglia in Libia – a Mosca non aveva tuttavia firmato il documento finale negoziato al vertice – adesso chiede altri due giorni prima della sua applicazione, affermando di volerne discutere con i capi delle tribù sue alleate.

Ieri sera aveva interrotto le trattive di pace lasciando la capitale russa senza aver firmato la bozza di accordo alla quale i negoziatori erano a fatica pervenuti, non lo aveva fatto dopo aver chiesto un margine di tempo (fino alla mattina seguente, quindi questa mattina) allo scopo di consultarsi con i suoi alleati e sostenitori.

Non erano state sufficienti le pressioni esercitate sull’uomo forte della Cirenaica, poiché il comandante dell’Esercito nazionale libico (Libian National Army, LNA) non accettato il ritiro delle proprie truppe sulle linee del cessate il fuoco precedentemente individuate.

Le ragioni addotte a giustificazione di una tale grave decisione erano state individuate nelle «numerose richieste ignorate» in quella sede negoziale.

Ma cosa vuole in concreto Haftar? O meglio, quali possono essere le sue pretese in questo gioco al rialzo che gli serve a prendere ulteriore tempo mentre tenta di consolidare sul terreno le posizioni delle sue truppe?

Innanzitutto – è ovvio – l’uscita di scena della variegata compagine di mercenari (in buona parte jihadisti) trasportati dai turchi nella parte di territorio libico controllato dalle forze attualmente fedeli al presidente al-Serraj, cioè ormai solo un terzo del totale della Libia.

Egli ha inoltre chiesto l’autorizzazione all’ingresso del Libian National Army nella capitale Tripoli, oltre a un voto di fiducia accordato al futuribile governo di unità nazionale dal parlamento di Tobruk.

Poi – aspetto questo di non di poco conto -, che l’eventuale monitoraggio internazionale venga effettuato da una missione che non contempli la partecipazione di osservatori turchi; infine, anche la sua personale nomina a comandante supremo delle (future) forze armate libiche.

E infatti gli scontri sul campo di battaglia non hanno tardato a riprendere, seppure le parti avessero concordato una prosecuzione a tempo indeterminato della tregua entrata in vigore la scorsa domenica.

Haftar continua a ricevere armi dall’estero, quindi è possibile che cercherà di consolidare le sue posizioni sul terreno in vista dell’attesa conferenza di Berlino, i cui lavori dovranno avere luogo nel prossimo fine settimana.

Con ogni probabilità, nella capitale tedesca il dialogo ripartirà (se ripartirà) dalle basi definite nel documento elaborato a Mosca che Haftar non ha poi firmato.

Un accordo aprirebbe la strada a una missione militare di interposizione legittimata dal mandato dell’Onu, una forza multinazionale formata (forse) da contingenti di Paesi dell’Unione europea che avrebbe il compito di garantire il monitoraggio e il rispetto di un cessate il fuoco permanente.

Alla missione, oltre a unità francesi, spagnole e tedesche, potrebbero partecipare anche quelle italiane, giacché Roma è estremamente interessata alla tutela dei propri grandi interessi nel Paese nordafricano, in particolare nella regione della Tripolitania.

Allo stato attuale su quale futuro potrà avere la Libia si possono soltanto formulare delle ipotesi, di queste quella plausibilmente più esplorabile è quella che vedrebbe una spaccatura del Paese in almeno due parti sulla linea determinata dalle armi (o da un prolungato stallo dei combattimenti) al momento del cessate il fuoco definitivo.

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