AMBIENTE, rifiuti. Waste management e riciclo, presentato a Roma il trend del business del settore

Il bilancio 2018 sull’industria del settore in Italia: quadro competitivo, scenari impiantistici, innovazione e regolazione; in difficoltà gli operatori di minori dimensioni. Intanto, però, la capitale annaspa nell’immondizia

In Italia il settore del cosiddetto «waste management» (gestione dei rifiuti) è interessato da fattori di cambiamento, quali la regolazione, l’innovazione tecnologica e il consolidamento industriale.

Lo si evincerebbe dal WAS Annual Report, presentato a Roma il 28 novembre scorso nel corso del convegno “L’economia dei rifiuti: adeguatezza impiantistica, regolazione, mercati”, organizzato da Althesis Strategic Consultant.

Il documento analizza la trasformazione in corso approfondendo parallelamente alcune tematiche tra loro interconnesse, come lo scenario competitivo e le principali tendenze strategiche, l’adeguatezza degli impianti attualmente esistenti alla luce dei target posti dall’Europa, la regolazione, le tariffe e la concorrenza nello specifico settore e la transizione verso un’economia circolare e i mercati del riciclo dei materiali (recovered material).

Nello specifico, viene rilevato che il quadro competitivo mostra dinamiche diverse a seconda dei player strategici, con gli attori maggiori che si rafforzano più degli altri.

Prosegue l’integrazione del segmento della raccolta verso quello della selezione e della valorizzazione dei materiali, che tuttavia vede in difficoltà alcuni operatori di minori dimensioni.

Viene registrato un incremento degli investimenti che, anche in questo caso, riguarda le imprese più grandi e i territori più avanzati, ma nonostante questo si sono ridotte le operazioni di carattere straordinario, aspetto che è stato ricollegato all’incertezza delle politiche del settore in Italia.

Il sistema impiantistico evidenzia perduranti e significative criticità, un deficit capacitivo accentuato dal basso tasso di messa in opera di nuovi termovalorizzatori, ritenuto insufficiente a compensare quello degli impianti che cessano l’attività.

Nel Rapporto 2018 emerge che la relazione tra regolazione e mercato è resa ancora più complessa dall’avvio delle attività di Arera e la crescente attenzione di AGCM al sistema di gestione e riciclo dei rifiuti.

«La definizione del meccanismo tariffario – si afferma – pare piuttosto complicata, sebbene anche in altri Paesi (come Francia, Germania e Spagna) il panorama sia abbastanza articolato e, ugualmente, a livello europeo, vari sono gli interventi delle autorità antitrust».

La transizione in direzione della tanto agognata economia circolare presenterebbe due facce diverse, con connotazioni in parte inaspettate e innovative, poiché da un lato si assiste a un’accelerazione nell’evoluzione dell’industria del riciclo storica, sempre più dinamica e globalizzata, dall’altro nuove tecnologie e operatori provenienti da altri settori portano all’innovazione, sviluppo di nuove partnership, nuovi prodotti e nuovi mercati.

Nel corso del 2018 i principali gestori dei rifiuti urbani, malgrado le criticità poste da un contesto macroeconomico sfavorevole, hanno conosciuto una crescita, migliorando i risultati e proseguendo nel loro percorso di consolidamento industriale in grandi multiutility.

Il valore della produzione conseguito dai 124 maggiori operatori della raccolta e/o del trattamento e smaltimento dei rifiuti urbani ha raggiunto i 9,18 miliardi di euro. Questi top player del waste management sono presenti e attivi in 4.143 comuni, cioè il 52,1% del totale, pari a 40,5 milioni di abitanti, cioè quasi il 67% del totale della popolazione italiana, e hanno gestito 22,3 milioni di tonnellate di rifiuti urbani.

Una raccolta che registra un incremento del 3% rispetto all’anno precedente, nonostante le attenzioni rivolte alla raccolta differenziata.

Il Rapporto ha classificato gli operatori del settore in sei categorie (cluster strategici): grandi multiutility, operatori metropolitani, piccole e medie multiutility, piccole e medie monoutility, operatori privati, operatori del trattamento e dello smaltimento.

Lo studio ha confermato il rafforzamento delle tre major, le grandi multiutility quotate in borsa che puntano a crescere ulteriormente attraverso le aggregazioni e le integrazioni lungo la catena del valore (value chain).

Al contrario, spietato è il verdetto emesso sugli operatori metropolitani, afflitti da criticità e ancora concentrati in prevalenza sulla raccolta e carenti di impianti.

In particolare, quello degli impianti permane uno dei nodi centrali sia delle strategie aziendali che delle politiche di gestione dei rifiuti, infatti, il gap infrastrutturale del quale tuttora soffrono alcun e regioni, unito all’assenza di un’opportuna pianificazione sul medio-lungo periodo, ha generato negli anni aggravi nei costi complessivi, divenuti ingenti sia in termini economici che ambientali.

Non si perviene, purtroppo, all’impostazione di un’adeguata programmazione degli investimenti che dovrebbero conseguire a scelte in grado di superare definitivamente stati di emergenza permanente.

In questo senso la città di Roma rappresenta un emblematico esempio di questa situazione di stallo.

Una recente ordinanza emessa dalla Regione Lazio ha previsto che Roma Capitale (il Comune di Roma) debba individuare uno o più siti o impianti sul suo territorio che possano essere destinati allo smaltimento e al smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Allo stesso tempo, viene perentoriamente ordinato al Campidoglio di avviare urgentemente la procedura di selezione di impianti di conferimento (dei rifiuti) all’estero.

Roma ha l’impellente necessità di rinvenire nuove discariche per i suoi rifiuti, ma ovviamente i territori limitrofi non ne vogliono sapere, dunque, mentre periodicamente le strade della capitale vengono sommersi dall’immondizia, l’unica soluzione al problema prospettata dagli amministratori pubblici di comune e regione appare l’esportazione.

A Roma la storia si ripete, ma adesso la città è giunta alla fine di un vicolo cieco che aveva imboccato inopinatamente alcuni anni fa, quando tra grandi trionfalismi venne chiusa la discarica di Malagrotta.

«Mai più una discarica!», si disse allora, ma anche «mai neppure un inceneritore a Roma e nel Lazio», e il risultato è stato quello che oggi è davanti agli occhi di tutti. Sia la maggioranza che l’opposizione furono d’accordo, Raggi e Zingaretti insieme.

Ma i termovalorizzatori non sono stati mai banditi dall’Unione europea, al contrario, nel Vecchio continente continuano a funzionare e, anzi, se ne costruiscono di nuovi e, inoltre, ammortizzano i costi della loro realizzazione.

Ma, in assenza di concreti ed efficaci provvedimenti alternativi, ora gli amministratori devono necessariamente tornare sui propri passi e individuare nuove discariche per Roma.

Nell’ordinanza della Regione Lazio si parla di «aree di smaltimento», non quindi di recupero. Ma trovare una nuova discarica è divenuto molto difficile, anche alla luce del fatto che molti nel centro-sud ne sono alla ricerca, in quanto afflitti – come la capitale – dai gravi problemi derivanti dalla cattiva gestione dei rifiuti.

I cittadini romani pagano una tra le più alte tariffe per i rifiuti di tutta Italia, poiché i prezzi dello smaltimento nelle discariche e negli impianti al di fuori del territorio comunale sono arrivati intorno ai 200 euro a tonnellata.

Allora dove collocarli? Nessuno le vuole, perché le discariche comportano dei seri rischi per l’ambiente, mentre i moderni inceneritori risultano molto meno dannosi di molti altri impianti industriali in funzione. I moderni termovalorizzatori sono in grado di fornire energia elettrica e soprattutto calore, che, in quest’ultimo caso, consentirebbero di sostituire non poche caldaie inquinanti.

In ogni caso le discariche scarseggiano e comunque Roma finora non ha prospettato soluzioni al suo problema, rendendolo in questo modo cronico.

A oggi la città non sa come collocare un milione di tonnellate di rifiuti, un termovalorizzatore potente – da 700.000 tonnellate – sarebbe una soluzione, anche se per realizzarlo occorrerebbero alcuni anni. Lo sarebbe, ovviamente, soltanto se a esso venisse affiancata una seria raccolta differenziata dei rifiuti con annessi smaltimenti e ricicli dei vari materiali.

Senza trascurare comunque gli investimenti per altre componenti del sistema, come ad esempio quelli occorrenti per la realizzazione di alcuni impianti destinati all’organico, dato che di questo genere di rifiuti ben 344.000 tonnellate all’anno vengono inviate fuori regione, con il relativo aggravio di spesa.

I moderni termovalorizzatori sono in grado di fornire energia elettrica e soprattutto calore.

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