EGITTO, proteste di piazza. Nonostante la dura repressione del dissenso per Trump al-Sisi resta pur sempre “l’uomo di Washington” al Cairo

L’Egitto permane uno dei maggiori percettori di finanziamenti americani al mondo, nel 2020 ammonteranno a 1,3 miliardi di dollari. Tuttavia, a Washington qualcuno inizia a nutrire seri dubbi su questo alleato strategico. Non è soltanto il mancato rispetto dei diritti umani nel paese leader del mondo arabo, poiché numerosi dossier che riguardano gli Usa rimangono ancora aperti. Intanto, però, dalla pipeline israeliana arriverà il gas naturale

Egitto di nuovo in fermento dopo l’esplosione delle proteste di piazza della popolazione contro la corruzione, fenomeno che permea a tutti i livelli la società e, in modo particolare, il sistema di potere che fa capo al presidente Abdel Fattah al-Sisi.

Le cronache registrate negli ultimi giorni testimoniano che non sono affatto infrequenti le degenerazioni di queste manifestazioni in veri e propri tumulti, provocati spesso dalla consueta “mano pesante” usata dalle forze di polizia egiziane, come nel recente caso di Suez, quando sabato scorso le forze di sicurezza non hanno esitato a sparare munizioni e gas lacrimogeni contro le centinaia di manifestanti scesi in piazza.

Da quando si è riaccesa la protesta nelle città egiziane le forze di polizia hanno tratto in arresto quasi quattrocento persone, incluso Mahienour el-Massry, l’avvocato che nel Paese si batte per la garanzia dei diritti umani, impegnato nella rappresentanza in giudizio di molti dei dimostranti anti-regime.

Tuttavia, nonostante la dura repressione del dissenso, il presidente statunitense Donald Trump in occasione dell’ultima Assemblea Generale delle Nazioni Unite che ha avuto luogo a New York, ha voluto egualmente accogliere al-Sisi calorosamente, definendolo pubblicamente come un «vero leader», stigmatizzando al contempo le manifestazioni di protesta contro il suo regime.

Ma negli Usa non tutti sono d’accordo con l’approccio voluttuoso del presidente col “suo uomo” al Cairo, poiché già da qualche tempo sia al Senato che al Congresso serpeggia sempre di più lo scetticismo nei confronti del generale divenuto presidente egiziano con la forza.

L’Egitto, va ricordato, assieme a Israele e Colombia, figura tra i primi percettori di finanziamenti erogati dagli americani in quanto alleato strategico, anche in virtù del ruolo “flemmatizzante” svolto nella regione mediorientale e nordafricana e della salda alleanza con gli Usa, che include ovviamente l’intelligence a tutti i livelli.

Ma seppure gli americani abbiano tuttora bisogno di referenti del genere in delicati scacchieri come quello dove senza eccessivi scrupoli agisce il deep state di al-Sisi, a Washington qualcuno vorrebbe ridurgli l’ossigeno, una forma di pressione nel tentativo di ottenere un numero minore – e forse anche meno visibile – di violazioni dei diritti umani nel Paese leader del mondo arabo.

Già per i Fiscal Year del 2017 e del 2018 il senatore repubblicano Lindsey Graham e quello democratico Patrick Leahy avevano cercato di tagliare l’ammontare del finanziamento militare del quale beneficia l’Egitto (FMF), mentre nel disegno di legge relativo al 2020 pubblicato la scorsa settimana, la somma stanziata per la stessa voce risulta essere pari a 1,3 miliardi di dollari, grossomodo il medesimo importo di cui il Cairo beneficia annualmente da quando nel 1979 (allora presidente era Anwar al-Sadat) ha stipulato gli Accordi di pace con Israele.

Con il cospicuo rifinanziamento del gruppo al potere al Cairo presidenza e governo degli Usa inviano dunque un messaggio che va nella direzione opposta a quella auspicata da coloro i quali vorrebbero che in Egitto venissero rispettati i diritti umani e quelli civili.

Non sono pochi, per altro, i dossier aperti con gli stessi Stati Uniti d’America, infatti essi spaziano dalle condanne dei tribunali egiziani alle Ong con sede negli Usa comminate dal 2011 al 2013, alla destabilizzazione della Libia – il generale Khalifa Haftar risponde infatti anche al suo potente protettore del Cairo -, al con il caso della cittadina statunitense April Corley, ferita gravemente nel 2015 dai militari  dell’esercito egiziano nel deserto occidentale e, per finire, con quello dei tre cittadini statunitensi arrestati in Egitto nel 2017 a seguito dell’allineamento politico e militare di al-Sisi al blocco guidato dall’Arabia Saudita, cioè Mustafa Kassem, Ola al-Qaradawi e suo marito Hosam Khalaf. Qaradawi è la figlia dell’imam Yusuf al-Qaradawi, che vive in Qatar.

Il governo egiziano per mezzo dei propri apparati di sicurezza continua a limitare il diritto di assemblea pacifica e  detiene nelle carceri migliaia di persone a causa delle loro convinzioni politiche, inoltre – e qui è emblematico il caso Regeni – non assume concreti provvedimenti per indagare sugli assassinii cosiddetti extragiudiziali.

Non è un caso che il governo del Cairo continui a limitare l’accesso dei funzionari americani alla penisola del Sinai – divenuto un vero e proprio “buco nero” – per osservare in quale modo esercito e polizia stiano utilizzando l’assistenza fornita dagli Stati Uniti.

Essi, cioè le missioni di osservatori americani nel Sinai, dovrebbero valutare se L’Egitto sta rispettando gli accordi sull’uso finale dei materiali d’armamento ottenuti tramite il sostegno di Washington, assicurandosi che non entrino nel possesso di individui o gruppi che potrebbero rappresentare una minaccia per gli Usa, oltreché vengano rispettati i diritti umani internazionali riconosciuti e il diritto umanitario in generale.

Per quanto invece riguarda le relazioni con Israele, va rilevato che è di pochi giorni fa la notizia dell’avvenuta firma di un accordo che consentirà alla compagnia energetica del Cairo di utilizzare il gasdotto Eurasia-Israele in Mediterraneo orientale riattivando il flusso del gas naturale esportato in Egitto.

L’intesa tra i due Paesi confinanti abbatte l’ultimo ostacolo ai flussi di materia prima rimasto in piedi, dopo che nel febbraio dell’anno scorso le compagnie Israel’s Delek Drilling e Texas-based Noble Energy avevano stipulato un contratto della durata di dieci anni e del valore di quindici miliardi di dollari per l’esportazione di gas naturale in Egitto l’egiziana Dolphinus Holdings company.

Le due società nel settembre 2018 avevano quindi deciso di acquisire una partecipazione nel capitale della pipeline di EMG proprio allo scopo di facilitare l’accordo.

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