AMBIENTE, dossier laguna. Grandi navi a Venezia: i termini del problema e le diverse possibili soluzioni

«Fuori le grandi navi dal Canale della Giudecca e dal bacino di San Marco» significherà necessariamente «fuori le grandi navi dalla laguna veneta?», cioè che la croceristica vada esclusa dalla città? Tutto è fermo alla decisione presa nel 2017 dal «comitatone», ma la priorità oggi è togliere il maggior numero di navi possibili da Venezia, contemperando le necessità di un ecosistema estremamente delicato

I “No Grandi navi a Venezia!” hanno protestato approfittando dell’opportunità fornitagli dall’ultima giornata della Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia che ha avuto luogo al Lido.

Con il sostegno delle rock star inglesi Mick Jagger e Roger Waters, i giovani di Fridays for Future hanno occupato il red carpet dove alcune ore più tardi avrebbero fatto passerella dive e divi del cinema.

Con il loro flash mob i giovani ambientalisti hanno voluto ribadire la loro dura opposizione, senza sé e senza ma, alla navigazione delle grandi navi nella laguna.

«No alla politica delle grandi opere e del consumo indiscriminato del suolo per tutelare l’ambiente e la biodiversità», questo hanno gridato l’ultimo giorno del loro Climate Camp.

Il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, appena arrivato alla manifestazione cinematografica, ha pensato bene di twittare tempestivamente che: «A Venezia per la #Biennalecinema2019. Un impegno: entro la fine del mio mandato nessuna Grande Nave passerà più davanti a San Marco. Il vincolo del MiBac è solo il primo passo. Abbiamo perso troppo tempo e il mondo ci guarda incredulo. #Grandi navi».

Ma quali sono i problemi causati dal transito delle «grandi navi» in laguna e quali le loro possibili soluzioni?

I ripetuti incidenti di navigazione a Venezia hanno riportato alla ribalta dell’opinione pubblica la questione, che per i residenti si trascina da anni, al riguardo insidertrend.it ha cercato di fornire qualche informazione in più.

 

L’home port lagunare. Intanto, con il termine «grandi navi», riferendosi alla laguna  veneta, sia i ministeri competenti che gli armatori, indicano quelle navi che si trovano in fase di costruzione nel bacino della Fincantieri, poiché quelle che si vedono oggi transitare a Venezia sono navi medie e piccole, infatti, nei cantieri navali si stanno attualmente costruendo navi di stazza lorda fino a 200.000 tonnellate, mentre – per avere un termine di riferimento – quella che ha provocato l’incidente a Venezia questa estate aveva una stazza di 68.000 tonnellate.

A Venezia alcune navi da crociera fanno soltanto una “toccata e fuga”, il grosso però sfrutta il tessuto del terziario locale che si mette a disposizione. I passeggeri delle navi home port spesso giungono in città in aereo (il Marco Polo di Tessera è il terzo scalo internazionale in Italia) e, muniti di un sistema codificato per la tracciabilità del loro bagaglio, giungono all’imbarco e salgono sulla nave.

Perduta Venezia ci sarà qualcosa di alternativo all’home port lagunare? Forse no, e il turismo con ogni probabilità verrebbe dirottato verso altre località del Mediterraneo.

Una obiezione da muovere potrebbe essere la seguente: ma Venezia è sempre in overbooking, quindi che senso ha convogliarci ancora altre masse di turisti?

In realtà, la croceristica riveste sempre una grande importanza. Infatti, quei turisti imbarcati sulle navi da crociera, in altro modo non avrebbero la possibilità di visitare Venezia. Infatti, le crociere sono veicolo anche di turismo di massa, che conseguentemente contribuisce a fare di Venezia una meta non del tutto esclusiva.

In termini economici rappresenta una movimentazione di almeno un 1.800.000 persone, otre 160 milioni di euro di fatturato e, tra diretti e indiretti, 5.000 addetti. Esiste una industri della fornitura delle navi che opera a Marghera.

In laguna le navi da crociera percorrono una loro rotta: il Canale della Giudecca (che un tempo era la via di accesso al porto industriale), poi raggiungono il bacino San Marco e, infine, la Marittima, cioè il porto croceristico situato ai limiti della città, al di fuori del suo centro storico.

La Regione veneta ha condiviso con la comunità metropolitana di Venezia l’esclusione delle grandi navi dal Canale della Giudecca e dal bacino San Marco.

Il Decreto legge del febbraio 2012 ha stabilito che allo scopo di fare fronte al problema dell’impatto delle grandi navi e dei conseguenti rischi per la sicurezza per la città, le grandi navi di stazza superiore alle 40.000 tonnellate devono uscire dal Canale della Giudecca e dal bacino San Marco. Di risulta, le navi da crociera di stazza minore o uguale al limite introdotto hanno continuato e continueranno a navigare a Venezia, seppure con dei limiti.

La Legge varata il 31 marzo 2015 ha attribuito i potere fino ad allora detenuto dal Magistrato delle Acque di Venezia (oggi Provveditore ai Lavori pubblici) alla Città Metropolitana (ente locale territoriale che ha ricompreso la vecchia Provincia), una legge dello Stato che, però, fino a ora non è stata applicata.

 

   Il «comitatone». Il cosiddetto «comitatone» è un organismo rappresentativo dei comuni della gronda lagunare, cioè tutti quelli che ruotano attorno alla laguna di Venezia, oltre a essi al suo interno figurano anche i vari Ministeri competenti per materia.

Ma l’esclusione delle grandi navi si è trascinata per un po’  e, nel frattempo, è stato emanato un altro provvedimento intermedio che ha stabilito il limite di esclusione sopra le 90.000 tonnellate di stazza.

Tuttavia, con legge dello Stato (legge speciale per Venezia) veniva appunto istituito il comitatone quale unica sede ufficiale nella quale le Istituzioni si sarebbero dovute esprimere.

Nel suo ambito venne decisa un’alternativa, una viabilità già esistente utilizzata dalle petroliere, si trattava del cosiddetto “canale dei petroli”, una via d’acqua che consente alle navi di raggiungere Marghera, luogo dove è presente una banchina per l’ormeggio e dove potrebbero attraccare anche le grandi navi da crociera.

L’ipotesi prevede l’uso del vecchio Canale Vittorio Emanuele III (oggi “insabbiato” e dunque da dragare, ma che un tempo serviva la vecchia zona industriale), via d’acqua che pone in relazione con la Vecchia Marina, complesso storico ma ancora attuale dal punto di vista strutturale.

A questo punto le navi di stazza superiore a 90.000 tonnellate potrebbero ormeggiare a Marghera, mentre le altre si muoverebbero attraverso il Canale Vittorio Emanuele III e la Marina, fuori dal centro storico cittadino ma alla sua portata. La meta del turismo luxury, fatto di yacht, panfili e altro naviglio al di sotto delle 40.000 tonnellate.

A Venezia il movimento navi è pari a circa 560 navi all’anno (dati 2018) e di queste il 10% è luxury.

La Stazione Marittima è attualmente oggetto di un grande investimento per essere adattata ai bisogni delle grandi navi, ma necessita di un ulteriore ammodernamento, non ultimo quello dell’elettrificazione a servizio delle navi.

 

Navigabilità della laguna veneta. Negli ultimi trenta anni è invalsa l’idea che tenere puliti i canali (dall’insabbiatura) e quindi mantenerli o renderli navigabili fosse un danno di natura ecologica recato all’ambiente, al pari dell’asfaltazione del territorio.

Non è però più come una volta, quando per dragare si usava la benna, poiché oggi sono disponibili moderni sistemi di aspirazione.

Vanno puliti non soltanto i canali navigabili dalle navi che approdano al porto, ma anche tutti i canali della laguna, anche quelli più piccoli, come i ghebi, dove vanno le barche a remi.

Se le barche non riescono a navigare nei piccoli canali sono costrette a farlo in quelli più grandi dove ci sono i motoscafi, i vaporetti dell’Actv e la chiatte utilizzate per il rifornimento merci della città.

La laguna di Venezia va manutenuta tenendo in debito conto sia le necessità degli operatori economici che quelle del porto e dei cittadini del centro storico.

Il porto è essenziale, tuttavia risulta bloccata l’attuazione dei protocolli sugli scavi dei fanghi, un passaggio fondamentale per stabilire quali sono presenti sui fondali della laguna e dove dovrebbero venire scaricati quelli di risulta, inoltre andrebbero definite le procedure per l’escavo.

Da un anno e mezzo il comitatone al riguardo non si esprime. Il protocollo rimane bloccato a causa del possibile rischio di danno erariale che grava sul Provveditorato al Porto, un rischio paventato dal ministro dell’Ambiente in carica nel precedente governo.

Ma senza carotaggi non è possibile valutare le qualità dei fanghi sedimentati nei canali e quindi procedere o meno con i lavori.

 

   Il Canale Vittorio Emanuele III. Il Comune di Venezia ha richiesto il carotaggio dei del Canale Vittorio Emanuele III per appurare se i fanghi sedimentati nel tempo sul fondale siano di categoria “A” e “B” (non inquinati) oppure fanghi inquinati, per addivenire finalmente alla messa in sicurezza del canale e renderlo nuovamente navigabile.

Si tratta di circa 1,7 milioni di metri cubi di fanghi da movimentare per una spesa stimata di cinquanta milioni di euro

Attualmente la profondità del canale è di sei metri e mezzo, la sua larghezza è ottanta metri. Alcuni affermano che il suo escavo per portarlo in quota stravolgerebbe la morfologia dell’intera laguna, quindi sarebbe da evitare, così come il suo allargamento.

Sulle dimensioni dell’operazione, il comitatone a suo tempo ne demandò la determinazione all’Autorità portuale.

Il protocollo fanghi non viene però aggiornato dal 1993, e questo in assenza di un piano morfologico lagunare.

Sul Canale Vittorio Emanuele III il Comune di Venezia vorrebbe farci navigare i battelli piccoli e medi, lasciando alle autorità competenti e agli organismi tecnici la scelta su quelle che potranno essere le navi che potranno accedervi, anche sulla base dell’evoluzione del settore turistico veneziano.

 

   Il Canale Nord, lato nord. L’altra soluzione sarebbe quella del ricorso al Canale Nord, soluzione in qualche modo obbligata poiché il lato sud è quello delle banchine portuali, dove vengono movimentati i container, le rinfuse e gli altri materiali, un’area caratterizzata da intensa attività.

Nel testo del verbale recante la decisione assunta dal comitatone nel 2017 si legge che: «È necessario individuare gli accosti per navi di dimensioni più grandi nella zona portuale di Marghera, Canale Nord, sponda nord. Con accesso dalla bocca di porto di Malamocco e il canale di grande navigazione Malamocco-Marghera».

Inoltre (soluzione alternativa) «…la possibilità di adeguare, previa – ove necessario – procedura di assoggettabilità via e analisi dei rischi, il canale di grande navigazione Vittorio Emanuele III, per consentire, utilizzando la bocca di porto di Malamocco l’accesso alla Stazione Marittima di navi fino ai limiti dimensionali che saranno determinati dall’Autorità marittima a seguito della valutazione risultante da simulazioni e approfondimenti con il coinvolgimento della Corporazione dei Piloti di Venezia e di quella degli stessi armatori».

Le cosiddette «navi bianche» accedono alla laguna dalla bocca di Malamocco, dove c’è anche la bocca di porto del Mose (altra grossa questione), quindi il canale dei petroli (ove transitano quotidianamente numerose navi), poi la curva di San Leonardo (nel mezzo delle barene, dove è impossibile far arrivare le navi); segue dunque la prima zona industriale (dove transitano anche le navi veloci, come quelle Ro-Ro che trasportano i container); percorso il Canale Nord (provvisto di banchina per attracco) si giunge allo stabilimento della Fincantieri, quindi, virando a destra, si imbocca il Canale Vittorio Emanuele III, infine si raggiunge la Stazione Marittima (con sulla destra il Canale della Giudecca, che in questa ipotesi verrebbe totalmente preservato). Questa è la soluzione che venne approvata dal comitatone.

Durante la celebrazione della festività veneziana del Redentore, da anni sul Canale della Giudecca è tradizione fare un “ponte votivo”, dunque, per ovvie ragioni in quei giorni quel braccio di laguna viene interdetto alla navigazione alle grandi navi veloci da crociera, che vengono dirottate sull’itinerario alternativo, approvato come “normale” dal comitatone. Ma per farlo, in quegli stessi giorni non si fanno entrare in porto le navi commerciali.

Ma, presa una decisione definitiva in questo senso, il traffico navale in laguna reggerebbe? E quale ne sarebbe l’impatto?

Attualmente, nell’area dove si vorrebbe ampliare la Stazione Marittima non c’è nulla. Resta soltanto la murata e il luogo dove i pescatori vanno a cefali.

Nella non lontana area cosiddetta del Vega il Comune di Venezia ha già stanziato dei finanziamenti per investimenti allo scopo di renderla accessibile (17 milioni di euro per la viabilità, fondi Ue, Regione Veneta, Fondo Città Metropolitana di Venezia). I lavori sono stati avviati il 1 settembre 2019.

La nuova stazione ferroviaria che dovrà servire quella marittima sarà realizzata in parte anche con i fondi del bando per le periferie, si tratta di una zona non lontana dall’università e dal Forte Marghera (anch’esso in via di ristrutturazione), oltreché dal Parco di San Giuliano, destinato a ospitare i grandi eventi.

Coloro i quali si oppongono alla soluzione rappresentata dal Canale Nord, lato nord, argomentano che, con gli elevati rischi scaturenti da una intensificazione del traffico si incrocerebbero frequentemente le navi da crociera con le petroliere, inoltre vi sono delle zone da rimuovere e andrebbe anche arretrata di alcuni metri la banchina al fine di permettere alle navi di attraccare, il tutto all’interno di un sito industriale (la raffineria e il complesso di Porto Marghera) che dovrà essere oggetto di bonifica preventiva.

 

   Chioggia, Porto dei Saloni, Canale di San Domenico e Porto Valdario. Chioggia, città sita all’estremità meridionale della laguna veneta, si propone come potenziale attrice nella risoluzione del problema.

Il suo attracco, Porto ai Saloni, è attrezzato per l’ormeggio delle navi da crociera entro certi limiti di stazza. Inoltre, si pensa di utilizzare anche l’altro porto cittadino, quello di Valdario, che però per essere reso accessibile comporterebbe l’escavo del Canale di San Domenico, che – a detta degli amministratori locali – in ogni caso dovrà comunque venire realizzato in un quadro di sviluppo economico derivante dal trasporto delle merci.

Ma a rendere difficilmente praticabile questa ipotesi c’è anche il deposito di Gpl (gas propano liquido) in fase di ultimazione, tre serbatoi aventi ognuno una capienza di 3.000 metri cubi, più ulteriore di 1.350 metri cubi di stoccaggi di altri prodotti.

Al riguardo esiste già un parere fornito dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (adeguamento tecnico-funzionale, Atf) favorevole a un escavo del canale a meno undici metri, che, quindi, si ritiene possa essere sufficiente al pescaggio degli scafi di navi da crociera di 40.000-60.000 tonnellate, che è di circa sei o sette metri.

Qualora lo si volesse adeguare anche alla navigazione della croceristica – affermano gli stessi amministratori chiozzotti -, questo lo si potrebbe fare anche in presenza di un pescaggio minore.

In questo caso l’applicazione del “protocollo fanghi” non dovrebbe comportare problemi, in quanto nel passato il porto di Chioggia non è stato interessato da attività industriale, così come il Canale di San Domenico, quindi i sedimenti sul fondale dovrebbero risultare di categoria “A”, non inquinati e facilmente rimuovibili.

Anche qui, però, sussistono alcuni grossi dubbi, quali il costo e i tempi dell’operazione, inoltre l’eccessivo volume del materiale rimosso, stimato in otto milioni di metri cubi.

E ancora: quanto tempo impiegherebbero per raggiungere il centro cittadino di Venezia i turisti sbarcati a Porto dei Saloni o a Porto Valdario?

Essi dovrebbero servirsi della ferrovia che parte da Chioggia oppure dei mezzi di superficie, percorrere un tratto della statale Romea (strada a una carreggiata doppio senso di marcia), arrivare a Mestre e poi attraversare i quattro chilometri del ponte della Libertà, a questo punto arriverebbero a Piazzale Roma.

Alla fine quanto tempo gli resterebbe per visitare e, magari fermarsi a colazione, a Venezia?

I collegamenti ferroviario e viario dovranno essere in grado di sostenere un flusso di passeggeri grossomodo pari a 15.000-18.000 persone al giorno, infatti, questa sarebbe la cifra qualora approdassero a Chioggia cinque-sei grandi navi al giorno, ciascuna delle quali recante circa tremila turisti a bordo.

Le attuali infrastrutture reggerebbero?

Un vantaggio di questa ipotetica soluzione sarebbe rappresentato dalla possibilità delle navi di spegnere i motori nelle fasi di accostamento, attracco e ormeggio, che invece verrebbero mantenuti in funzione al fine di alimentare i potenti gruppi elettrogeni interni.

Chioggia – sempre secondo i suoi amministratori pubblici -, rispetto alle altre tredici ipotesi di soluzione prese in esame, offrirebbe la possibilità dell’utilizzo del cavo di alimentazione delle paratoie del sistema Mose.

 

   Le eventuali soluzioni provvisorie. Esistono poi alcune ipotesi relative a soluzioni provvisorie del problema, come quella dello spostamento del 30% del traffico croceristico sulle banchine Lombardia e Fusine.

Gli assertori di essa affermano che sulla banchina nord in qualche mese, senza eccessive difficoltà, si potrebbe attrezzare una banchina mobile senza necessariamente dover ricorrere a lavori di scavo, poiché si tratterebbe esclusivamente di un accosto.

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