INFORMAZIONE, media. Minaccia a libertà e pluralismo, l’appello lanciato da Articolo 21: una firma per sensibilizzare il governo che verrà

Tagli e bavagli, gli effetti della revisione «giallo-verde» del fondo per il pluralismo: più di cinquanta testate giornalistiche a rischio chiusura. Il sostanziale fallimento degli Stati generali dell’informazione e i vuoti lasciati aperti dalla regolamentazione alla luce della diffusione dei nuovi media. E, ovviamente, resta irrisolto il gigantesco problema dei conflitti di interesse. VINCENZO VITA spiega lo scopo dell’iniziativa

Di nuovo a rischio la libertà di informazione e il pluralismo in Italia, compresso dai provvedimenti presi dal governo dimissionario, quello che per quattordici mesi è stato presieduto da Giuseppe Conte.

L’allarme viene lanciato da Articolo 21, l’associazione che si batte in difesa dei principi costituzionali posti a salvaguardia della libertà di informazione e del pluralismo.

Al riguardo questa associazione si è fatta promotrice di un’iniziativa finalizzata alla sensibilizzazione del prossimo esecutivo che entrerà in carica, qualsiasi potrà essere la sua composizione politica.

Un appello che tutti i cittadini italiani possono firmare sul sito di Articolo 21, una firma per risolvere tutte le problematiche della fondamentale materia non ancora affrontate oppure affrontate male.

È lo stesso VINCENZO VITA, primo firmatario della  petizione, a spiegare lo scopo dell’iniziativa nell’intervista rilasciata a insidertrend.it che è possibile ascoltare in questo sito.

«L’appello nasce da una esigenza molto precisa – afferma Vita -, gli effetti della revisione del fondo per il pluralismo deciso nella passata Legge di bilancio rischierà di condurre in tre anni più di cinquanta testate giornalistiche alla chiusura, dunque, adesso sono in corso delle trattative politiche per la formazione di una maggioranza che sostenga il prossimo governo: volete riaprire questo capitolo?»

L’interrogativo posto da Articolo 21 è quindi il seguente: ci si deve arrendere di fronte a un danno così evidente recato alla libertà di informazione?

E ancora. Malgrado tutti gli impegni assunti dal ministro pentastellato della Giustizia Alfonso Bonafede nessun provvedimento si stato preso per eliminare quel bavaglio alla libera informazione rappresentato dalle querele temerarie, accuse intentate in giudizio «a ripetizione» che spesso si rivelano spesso infondate, soltanto strumentali.

Queste vengono intentate nei confronti dei giornalisti, oggetto che assumono sostanzialmente le forme di un vero e proprio ricatto, soprattutto quando a esserne oggetto sono operatori dell’informazione con contratti di lavoro precari o comunque privi di tutele poiché non garantiti dalle loro testate.

Come ovviare a questo grave problema? Deve provvedervi il decisore politico, magari rispolverando la proposta in precedenza presentata dalla Federazione della Stampa.

Vita si sofferma inoltre sul sostanziale fallimento dei cosiddetti «Stati generali dell’informazione» e sui vuoti lasciati aperti dalla regolamentazione anche alla luce della diffusione dei nuovi media.

Poi i nuovi media digitali: informazione e politica in questo Paese, elementi indissolubilmente legati, deficitano però sui piani del rispetto della par condicio e del maggiore controllo dei social forum durante le campagne elettorali, a cominciare dal “silenzio elettorale” e dalle martellanti dirette Facebook.

E, ovviamente, permane irrisolto il gigantesco problema dei conflitti di interesse, a riguardo del quale Articolo 21 mette sotto accusa la “legge Gasparri” varata nel 2004 dall’allora governo Berlusconi.

Al netto delle telefonate certamente non amichevoli fatte sovente da Matteo Renzi al direttore de “Il Giornale” Alessandro Sallusti, neppure il governo del «rottamatore» fu eccessivamente benevolo nei confronti della stampa, seppure non giunse agli eccessi delle minacce dirette ai giornalisti che lo riprendevano.

Dell’esecutivo Renzi, infatti, si ricorda quella legge sulla Rai che conferì tutto il potere sull’azienda al governo, sovvertendo così una giurisprudenza costituzionale quarantennale, che aveva sempre considerato la  Radiotelevisione italiana un servizio pubblico sotto l’egida del Parlamento della Repubblica, concentrandone il potere nelle mani del Presidente del Consiglio dei ministri.

Anche di questo nell’appello di Articolo 21 si fa menzione.

Infine, l’atteso avvento del digitale. Nel corso dei fallimentari Stati generali dell’editoria si è approfittato dell’opportunità offerta dall’accensione dei riflettori sui convegni e i seminari svolti per attaccare il fondo per l’editoria, quando invece sarebbe stato forse più urgente riflettere sulla traumaticità di una transizione – dall’analogico al digitale appunto – che rifletterà le sue mortifere conseguenze su quelle emittenti che non avranno i mezzi finanziari per adeguarsi al cambiamento.

Chi volesse firmare la petizione lanciata dall’associazione Articolo 21 può scrivere a redazione@articolo21.org

 

 

A181 – INFORMAZIONE, MEDIA: MINACCIA A LIBERTÀ E PLURALISMO, l’appello lanciato da Articolo 21 al governo che verrà. Una firma per sensibilizzare il nuovo esecutivo sui temi della libertà di informazione e del pluralismo. A spiegare lo scopo dell’iniziativa VINCENZO VITA, già parlamentare della Repubblica, Sottosegretario alle Telecomunicazioni e attualmente aderente ad Articolo 21 e presidente della Fondazione Archivio audiovisivo del Movimento operaio e democratico

Tagli e bavagli, gli effetti della revisione «giallo-verde» del fondo per il pluralismo: più di cinquanta testate giornalistiche a rischio chiusura. Il sostanziale fallimento degli Stati generali dell’informazione e i vuoti lasciati aperti dalla regolamentazione alla luce della diffusione dei nuovi media. E, ovviamente, permane irrisolto il gigantesco problema dei conflitti di interesse.

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