FRANCIA, scheletri nell’armadio. Il passato coloniale che non passa: gli africani che hanno combattuto per Parigi oggi dimenticati, se non offesi

Discriminati sia in tempi di «grandeur» sia quando vennero chiamati da De Gaulle a liberare il territorio metropolitano dall’occupazione tedesca. Le parole offensive del presidente Nicholas Sarkozy e quelle di Françoise Hollande, che invece riconobbe e responsabilità di Parigi per il massacro Thiaroye del 1944, quando i reduci senegalesi che chiedevano alla loro Patria (la Francia) la paga arretrata del soldato vennero uccisi a mitragliate dalla Gendarmeria

A settantacinque anni dallo sbarco alleato in Provenza, Pierre Lepidi giornalista di “Le Monde Afrique”, ha intervistato il fotografo e regista Julien Masson, autore di un volume nel quale sono state raccolte le testimonianze rese dai veterani africani che in passato combatterono le guerre di Parigi.

Cogliendo l’opportunità presentatasi nelle forme di un progetto pedagogico sviluppato con alcune scuole della Savoia, tra il 2014 e il 2018 Masson si è messo sulle tracce degli ultimi fucilieri senegalesi, i cosiddetti «Tirailleurs sénégalais», che prestarono servizio su vari fronti di guerra inquadrati nell’esercito coloniale francese.

Il libro, che consta di 144 pagine ed è edito per i tipi di Les Pas Sages, si intitola “Mémoire en marche” ed è – a detta del suo autore – un argomento «che permette di parlare del passato comune tra popoli diversi, ma anche di affrontare la storia della schiavitù e della colonizzazione».

Una traccia che non può non ricondurre alle problematiche più attuali quale il fenomeno, ormai evoluzionistico, della migrazione dal sud del mondo.

Nell’intervista resa a “Le Monde Afrique” Masson ha spiegato che il suo obiettivo era quello di fornire agli studenti «le chiavi per comprendere la Francia di oggi».

Già, poiché i Tirailleurs sénégalais hanno svolto un ruolo importante nella storia del Paese transalpino, tuttavia la loro storia permane quasi sconosciuta.

Furono 350.000, tra coscritti e volontari, gli uomini di tutte le colonie dell’Africa occidentale francese e di quella equatoriale a essere arruolati nel Corpo dei fucilieri senegalesi, i Tirailleurs sénégalais, durante la Seconda guerra mondiale.

Da cittadino francese, parlando di loro Masson non usa certo mezzi termini: «Li abbiamo costretti a impegnarsi e oggi lasciamo affogare i loro nipoti nel Mediterraneo»

È la verità, poiché sono stati effettivamente molto stretti i legami di questi uomini con quella che era la loro Patria, essi lasciarono spesso la loro terra per combattere e togliere le castagne dal fuoco per la Francia, anche quando si trattò di liberarne il territorio metropolitano.

Infatti, i reparti coloniali vennero inviati più volte a combattere sul suolo europeo, contro gli occupanti tedeschi, l’ultima volta a partire dal 15 agosto 1944 nel corso delle operazioni seguite allo sbarco alleato in Provenza.

Inoltre, i governanti della Terza Repubblica non si fecero scrupolo di impiegarli in funzione repressiva, cioè quando ritennero opportuno usare la “mano pesante” nei territori allora sotto il dominio di Parigi o nei tre dipartimenti francesi dell’Algeria, dove la gente ancora li ricorda poiché lì i senegalesi lasciarono il segno.

Poi sarebbe venuta la pacificazione, con la realizzazione di grandi opere ingegneristiche e urbanistiche e dello sfruttamento delle risorse, un’età dell’oro improntata a quello che, a ragione, si può considerare uno dei padri del peace enforcing e del peacekeeping moderno, quel maresciallo Louis Hubert Gonzalve Lyautey le cui gesta marocchine ancora oggi vengono evocate negli stati maggiori e negli istituti di studi strategici.

Erano i bei tempi delle colonie, di quella «grandeur» che sarebbe sfumata in tragedia e risentimento a partire dal secondo dopoguerra, con le sconfitte subite dalla Francia sui fronti dell’Indocina e dell’Algeria per mano della guerriglia indipendentista.

E così, i Tirailleurs sénégalais vennero mandati a morire anche laggiù, nell’ultimo disperato tentativo di Parigi di aggrapparsi agli ultimi suoi possedimenti coloniali.

Infatti, se i decisori politici della Quarta Repubblica avessero sacrificato i cittadini del territorio metropolitano mandando a combattere i giovani di leva – a esclusione dei volontari, come i paras –, il sistema, già in crisi, sarebbe venuto giù tutto e di colpo.

Sarebbe crollato il consenso alle operazioni militari. E questo lo si sarebbe visto in seguito col traumatico ritiro dall’Algeria.

Tuttavia – e di questo nella sua intervista Masson ne parla chiaramente -, nel corso del secolo scorso la Francia ha fatto di tutto per nascondere i suoi non pochi scheletri negli armadi, a cominciare da quelli del collaborazionismo e della shoah, per arrivare ai crimini commessi nel corso delle sue guerre coloniali.

Nel novembre di quello stesso anno il primo contingente di fucilieri senegalesi venne rimpatriato in Africa, si trattava di militari precedentemente catturati dai tedeschi e internati nel lager di Frontstalag.

L’esercito francese si rifiutò di pagargli gli arretrati e le indennità maturate durante il periodo della prigionia, loro quindi si rifiutarono di imbarcarsi per il rientro.

Gli venne fatto allora credere che avrebbero ricevuto la loro paga una volta giunti a Dakar, nel campo di Thiaroye, ma lì gli fu ordinato di tornare ai propri villaggi e che sarebbero stati pagati in seguito. Si rifiutarono di lasciare il campo.

Il 1 dicembre 1944, la Gendarmeria e l’esercito coloniale circondarono il campo di Thiaroye, poi aprirono il fuoco contro i Tirailleurs sénégalais massacrandone almeno settanta.

Nel 2012 il presidente François Hollande ha riconosciuto in parte le responsabilità francesi in ordine al massacro di Thiaroye.

Esistono tuttora interrogativi e controversie sulla dinamica dell’eccidio e sul numero esatto dei militari di origine africana trucidati, inoltre sono incerte le identità di numerose vittime. Sul massacro di Thiaroye non sarebbe mai stata fatta chiarezza.

Ma nel dopoguerra le umiliazioni per i Tirailleurs sénégalais non cessarono, poiché la disparità esistita in precedenza tra le retribuzioni dei soldati francesi bianchi e quelle degli africani si rifletté su trattamenti pensionistici, che sarebbero stati rivalutati al livello di quelli dei francesi soltanto nel 2006 a seguito di una forte campagna sociale dai profondi risvolti mediatici.

Nel “Chant des Africains”, i militari senegalesi inquadrati nei reparti coloniali cantavano di essere «pronti a morire ai piedi della Francia se qualcuno ne avesse toccato la bandiera», ma alla fine la Patria li ripagò della loro devozione e del loro sacrificio dimenticandoli, quando non offendendoli.

Come fece il presidente Nicolas Sarkozy, quando affermò che «la tragedia dell’Africa è che l’uomo africano non è entrato abbastanza nel paese».

Parole pesanti. Difficili da ascoltare per uomini che combatterono per liberarla, la Francia.

Condividi: