ECONOMIA, Italia. È stagnazione, i dati Istat lo confermano: l’economista Paolo Guerrieri analizza la situazione attuale e le prospettive future

Il malandato canotto dell’economia italiana riesce ancora a galleggiare precariamente e questo malgrado il ristagno. Tuttavia, se disgraziatamente il «mare globale» dovesse incresparsi, i deleteri fattori esogeni si sommeranno ai non pochi endogeni con il conseguente rischio che il Paese coli a picco.

I dati diffusi dall’Istituto nazionale di statistica resi noti nella giornata di ieri certificano la sostanziale condizione di stagnazione dell’economia italiana.

Crescita zero nel secondo trimestre del 2019, inflazione in calo, tuttavia – dato apparentemente in controtendenza – nel Paese è stata registrata una flessione della disoccupazione, un’anomalia che si  presta a diverse letture.

Infatti, questo aumento dei contratti di lavoro (principalmente a tempo determinato) potrebbe essere l’effetto di diversi fattori concomitanti, quali il decremento demografico, la maggiore precarizzazione dei lavoratori (minijobs part-time nel terziario) e la possibile non chiara definizione sul piano statistico dei soggetti interessati.

In quest’ultimo caso il dubbio è ingenerato dalla reale causa che incide sul computo dei disoccupati, in quanto il dato potrebbe derivare da un effetto scoraggiamento (cioè da un aumento degli «inattivi», che non venendo più considerati disoccupati poiché non cercano più lavoro, fanno conseguentemente diminuire il totale degli appartenenti a quest’ultima categoria) come, invece, da un problema di confronto fra i dati dell’occupazione considerata per capite oppure per ore lavorate, che risulterebbero diminuite.

Le cifre dell’Istat affermano che per il quinto trimestre consecutivo la variazione congiunturale si attesta attorno allo zero, mentre alla base del blocco del tasso di crescita economica del Paese risiede il calo nei settori industriale (principalmente dell’auto) e dell’agricoltura.

Una crisi economica si registra anche negli altri Paesi dell’Unione europea, ma mai nelle medesime dimensioni di quella italiana.

Certamente, il drastico calo delle esportazioni del manifatturiero, in questi ultimi anni vero e proprio “traino” dell’economia nazionale risente delle turbolenze che agitano il commercio internazionale, provocate dalle politiche protezionistiche varate negli Usa dall’amministrazione presieduta da Donald Trump.

I dazi hanno creato tutta una serie di incertezze interpretate dalle imprese nel senso del rinvio degli investimenti. Il crollo degli investimenti ha conseguentemente condotto a una secca diminuzione degli scambi dei beni di investimento intermedi che ha colpito i maggiori produttori, cioè la Cina e la Germania.

Da quando la crisi dell’economia mondiale ha frenato le esportazioni, si sono andate esaurendo anche le capacità di economie come quella tedesca, la cui produzione industriale nel primo trimestre di quest’anno è calata del due per cento.

Dalla floridità della Germania traevano beneficio anche gli industriali italiani attivi nell’indotto dell’automotive, che fino a pochi mesi fa esportavano componentistica in quel Paese rifornendo i costruttori di autoveicoli e che oggi sono stati trascinati giù dalla crisi, come testimonia la situazione in Lombardia.

Tuttavia, il sistema industriale italiano – oltreché di proprie storiche carenze – risente anche di altre croniche incertezze, quelle ascrivibili alla politica economica nazionale.

Ma non basta, infatti la peculiarità italiana è che nessun’altro paese europeo in questa fase di rallentamento è scivolato in una condizione di semi-recessione o di ristagno.

Al rallentamento si sono infatti sommate le misure adottate in campo economico dall’esecutivo in carica e gli atteggiamenti di natura politica che hanno aggravato seriamente la situazione.

Inoltre, c’è da attendersi un incremento del già gigantesco debito pubblico, probabilmente nella misura di un paio di punti, di per sé un pessimo segnale inviato agli investitori internazionali, poiché per la loro attività il debito rappresenta un parametro fondamentale.

Un rallentamento incontrastato che ha avuto inizio nella seconda metà dello scorso anno e che, inteso a livello mondiale, ha indotto le banche centrali di numerosi paesi a invertire la tendenza relativa alla normalizzazione delle loro politiche monetarie, alimentando nuovamente l’economia mediante l’immissione di un enorme massa di liquidità (per lo meno così è stato annunciato negli Usa e in diversi Paesi europei).

Le conseguenti minori tensioni sui mercati frutto di politiche espansive potrebbero placare le esigenze degli investitori, con un ritorno positivo per l’Italia nei termini di una temporanea sopravvivenza.

Insomma, una possibile toppa applicata alle lacerazioni della gomma del malandato canotto dell’economia italiana, che riesce ancora a galleggiare seppure in maniera precaria malgrado il ristagno.

Tuttavia, se disgraziatamente il «mare globale» dovesse incresparsi, i deleteri fattori di crisi esogeni (brexit, guerra commerciale Usa-Cina, aggravamento della congiuntura europea) si sommeranno a quelli endogeni, col conseguente rischio che il Paese coli a picco.

Una condizione, quella della stagnazione economica, che ovviamente non mancherà di proiettare i suoi perniciosi effetti sui conti pubblici.

E lo farà nel momento immediatamente precedente l’elaborazione della legge finanziaria dello Stato e dell’annessa (oltremodo onerosa) manovra di bilancio, un aspetto che contribuirà ad alimentare lo scontro politico in seno alla coalizione di governo.

Nel frattempo, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha reso noto che nello scorso mese di luglio il saldo del settore statale si è chiuso in via provvisoria, con un avanzo di 3.200 milioni di euro, in riduzione di circa 7.300 milioni rispetto al corrispondente mese del 2018 (che era pari a 10.505 milioni).

Il fabbisogno dei primi sette mesi dell’anno in corso si attesta sui 30.300 milioni, in lieve diminuzione dunque rispetto a quello del periodo gennaio-luglio 2018 (pari a 30.809 milioni).

L’avanzo del mese ha risentito della diminuzione degli incassi fiscali dovuta al differimento del termine di scadenza del pagamento delle imposte in autoliquidazione dal 1º luglio al 30 settembre ai sensi del Decreto legge nº 34/2019 (il cosiddetto Decreto crescita), mentre dal lato della spesa si segnalano maggiori pagamenti delle amministrazioni centrali, comprensivi delle erogazioni alle Ferrovie dello Stato, maggiori prelievi Inps e maggiori rimborsi fiscali.

Gli interessi sui titoli di Stato presentano un aumento di 180 milioni.

 

È possibile ascoltare l’audio dell’intervista di seguito.

 

 

A173 – ECONOMIA, RESI NOTI I DATI ISTAT: ITALIA IN STAGNAZIONE MA OCCUPAZIONE IN AUMENTO. a insidertrend.it l’economista PAOLO GUERRIERI analizza la difficile situazione attuale e le non rosee prospettive future.

Diffusi i dati Istat: crescita zero nel secondo trimestre del 2019, inflazione in calo, ma – dato apparentemente in controtendenza – nel Paese è stata registrata una flessione della disoccupazione. Un’anomalia che si  presta a diverse letture. Intanto a luglio cala a 3,2 miliardi l’avanzo del settore statale, che ha risentito della diminuzione degli incassi fiscali, mentre gli interessi sui titoli di Stato sono aumentati di 180 milioni, mentre gli interessi sui titoli di Stato presentano un aumento di 180 milioni.

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