LIBIA, guerra civile. Attacco missilistico al deposito della Mellitah Oil & Gas: è un segnale lanciato all’Italia?

La situazione è sempre più fuori controllo. Mustapha Sanallah, presidente della Noc dichiara: «Abbiamo sotto gli occhi una guerra, stanno distruggendo le nostre infrastrutture». È significativo che si siano volute colpire delle infrastrutture di compagnie petrolifere. Eni e Palazzo Chigi mantengono un basso profilo, ma tra gli operatori del settore è scattato l’allarme

A seguito dell’attacco missilistico contro il deposito della Mellitah Oil & Gas gli operatori italiani del settore energetico ancora presenti in Libia si sono visti costretti a bloccare le loro attività.

La situazione è sempre più fuori controllo prova ne sarebbe proprio quest’azione, diretta contro la risorsa strategica del Paese nordafricano. Essa però si presta a diverse letture, anche come un avvertimento riguardo a eventuali prossimi attacchi che potrebbero essere compiuti ai danni di altre infrastrutture strategiche ai fini della produzione petrolifera libica.

Un attacco al governo di Tripoli, che in questa fase si trova in gravi difficoltà, ma anche all’Italia che lo sostiene, tenuto conto che l’Eni (Ente nazionale idrocarburi) costituisce il primo e unico partner della società petrolifera nazionale libica National Oil Corporation (Noc).

Nella notte tra il martedì 18 e mercoledì 19 giugno in Italia giunge la notizia che delle infrastrutture logistiche delle imprese petrolifere erano state attaccate. La fonte che comunicava dalla Libia era interna all’impresa industriale, quindi per il momento nessuna notizia era ancora trapelata attraverso la stampa, al riguardo neppure un lancio di agenzia.

In mattinata iniziano a essere pubblicate le notizie sull’attacco – definito «aereo» – compiuto contro il deposito di Mellitah Oil & Gas (Mog), dunque era ormai nota la località e il fatto in sé, seppure ancora in modo generico. In questo momento neppure la rappresentanza diplomatica italiana a Tripoli aveva ancora diffuso alcun comunicato al riguardo, si sarebbe espressa informalmente soltanto dopo le gravi dichiarazioni rese dal presidente della Noc Mustapha Sanallah.

Fino a quel momento neppure il gruppo di Piazza Mattei, che con la Noc è in partnership, aveva commentato il grave episodio.

«Abbiamo sotto gli occhi una guerra – aveva affermato poco prima – stanno distruggendo le nostre infrastrutture».

A quel punto dalla rappresentanza diplomatica a Tripoli viene comunicato che, assieme ai servizi segreti era stato fatto uno studio della situazione dal quale era emerso che lo strike (non aereo bensì missilistico) era stato effettuato in una località a circa quindici chilometri a est di Tripoli con obiettivo un compound militare situato nei pressi di un deposito di materiali di Eni Oil & Gas contenente componentistica (tubi, scambiatori di calore, caldaie, eccetera) ma non idrocarburi, quindi materiali che vengono trasportati ai pozzi dove trovano poi utilizzo.

Le medesime fonti diplomatiche italiane ritenevano che l’attacco missilistico contro il deposito non fosse da considerare intenzionale.

Si voleva “anestetizzare” la notizia in attesa di ulteriori sviluppi della situazione? Il fatto che a essere colpita, seppure lievemente, fosse una compagnia petrolifera, cioè la principale risorsa di natura economica per un paese come la Libia, può essere indice di una diminuzione del controllo della situazione sul territorio.

Haftar non è riuscito a conquistare Tripoli e allora comincia a colpire il «bersaglio grosso». Stavolta è toccato a un piccolo deposito della Mog, che, va ricordato, è la società frutto della partnership paritetica tra Eni e Noc (50% e 50%), quindi a essere distrutti sono stati materiali utilizzati (anche) nei pozzi estrattivi del gruppo industriale energetico italiano.

È significativo che, stante l’attuale ridotta operatività dei siti estrattivi libici dell’Eni, (la cui produzione è per altro destinata ai consumi interni del Paese nordafricano) e con il resto degli impianti è praticamente fermo, si siano volute colpire delle infrastrutture appartenenti a delle compagnie petrolifere.

Infatti, nel recente passato non era mai accaduto, poiché gli attacchi (spesso frutto dei combattimenti tra le fazioni belligeranti) erano stati limitati a zone soltanto in prossimità delle raffinerie, ma mai colpendole direttamente.

Un segnale inviato all’Italia che non va assolutamente sottovalutato. In assenza di un’adeguata cornice di sicurezza l’indotto che permette ai pozzi di Eni e NOC di funzionare, i tecnici italiani sono stati richiamati in Patria e ora si iniziano a colpire i depositi.

In seguito, sempre nel corso della mattinata, le forze del governo ufficialmente riconosciuto dalla comunità internazionale (quello del presidente Fayez al-Sarraj) con un colpo di mano avevano ripreso il controllo di parte dell’aeroporto di Tripoli, precedentemente occupato dagli uomini della Lna del generale Khalifa Haftar.

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