TERRORISMO, Marocco. Alla sbarra gli islamisti radicali imputati del duplice omicidio delle escursioniste scandinave

Le due turiste furono decapitate da un gruppo di affiliati a Islamic State il 17 dicembre 2018 nell’Alto Atlante. Fino a quel giorno, dal 2011 in Marocco non si erano verificati più atti terroristici. I parenti delle vittime denunciano la «responsabilità morale» del Governo di Rabat, poiché non avrebbe adeguatamente vigilato sulle scuole coraniche dalle quali sono provenuti gli assassini

Prosegue presso il tribunale di Salé l’audizione delle ventiquattro persone accusate del duplice omicidio delle giovani escursioniste scandinave perpetrato il 17 dicembre del 2018 non lontano dal villaggio di Imlil, sulle montagne della regione di Marrakech.

Nel corso della quarta udienza del processo che ha avuto luogo lo scorso 14 giugno, il giudice Abdelatif Amrani ha interrogato tredici imputati. Le accuse sono gravi: i terroristi avrebbero assassinato le due ragazze decapitandole, dopo che queste avevano piantato la loro tenda alle pendici del monte Toubkal, nell’Alto Atlante.

Secondo le accuse mosse dalla Procura generale del Re, il gruppo di islamisti – che aveva precedentemente dichiarato la propria fedeltà a Islamic State – ruotava attorno alla figura di Abdessamed al-Joud, principale accusato che nel corso dell’udienza del 30 maggio aveva confessato la materiale efferata esecuzione del duplice omicidio.

Molti degli imputati si sono dichiarati appartenenti della cellula terroristica, alcuni sono stati interrogati a lungo e, in parte, hanno negato le risultanze dell’inchiesta della polizia marocchina e, in alcuni casi, anche le dichiarazioni precedentemente rese ai magistrati che hanno istruito il processo.

Uno di essi, il ventitreenne Said Taoufik, che ha ammesso tutti gli addebiti mossigli, fino al 2016 era un militare in servizio nell’esercito marocchino, poi, una volta abbracciato il jihad, ha collaborato alla costituzione della cellula terroristica.

Tra i componenti di essa figura anche uno straniero, il venticinquenne dalla doppia cittadinanza spagnola ed elvetica a Marrakech dal 2015, Kevin Zoller Guervos, accusato di aver partecipato all’azione di radicalizzazione di alcuni degli accusati del duplice omicidio.

Egli protesta la sua innocenza, affermando che a suo carico non sono state prodotte prove concrete e tutte le accuse sarebbero state costruite sulla base di alcune frasi che avrebbe pronunciato. I legali di Zoller Guervos hanno affermato che l’uomo non sarebbe in possesso della padronanza della lingua araba, tuttavia, diversi componenti la cellula terroristica hanno affermato che, seppur non avesse mai parlato del jihad quando si trovava in Marocco, si sarebbe però unito a una filiazione dello Stato Islamico quando si trovava nelle Filippine.

Zoller Guervos sarebbe infatti stato messo in contatto con Abdessamed al-Joud per il tramite di Abdelghani Chaabti, predicatore in una scuola coranica marocchina che asserisce di aver cercato di far desistere lo straniero dal suo intento di abbracciare il jihad.

Secondo la testimonianza resa da sua moglie Fatima, Zoller Guervos in Marocco si riavvicinò alla religione senza però per questo assumere atteggiamenti radicali, egli si recava a pregare in moschea, ma in seguito – afferma la donna – avrebbe abbandonato la religione.

I legali dei famigliari di una delle due vittime, la danese Louisa Vesterager, hanno investito lo Stato marocchino di parte della responsabilità morale della morte delle ragazze, chiedendo a Rabat un risarcimento per il mancato adeguato controllo della scuola coranica dove si erano formati tutti gli imputati.

La prossima udienza del processo è stata fissata per il 20 giugno.

Il 17 dicembre dello scorso anno i cadaveri delle due giovani vennero rinvenuti all’interno della loro tenda, un accampamento per la notte in una zona isolata delle montagne dell’Alto Atlante.

Erano Louisa Vesterager, studentessa danese di ventiquattro anni, e Maren Ueland, ventottenne di nazionalità norvegese, erano in vacanza in Marocco da un mese. Le due escursioniste avevano fatto tappa in quella zona, situata a dieci chilometri dal villaggio di Imlil, poiché tra gli scalatori è conosciuta per essere il punto immediatamente prima della parete del monte Toubkal, la vetta più elevata esistente in Nord Africa.

Il duplice omicidio commesso dagli islamisti radicali scosse gli apparati di sicurezza di Rabat, poiché in Marocco non si verificavano più azioni del genere dal 2011, cioè dal sanguinoso attentato di Marrakech che aveva provocato diciassette morti, mentre per rinvenire un’altra azione terroristica importante si doveva risalire all’attentato di Casablanca del 2003, quando le vittime furono trentatré.

Nel frattempo Rabat ha rafforzato le sue strutture di sicurezza, adeguando anche la propria legislazione in materia e cercando di controllare capillarmente l’universo religioso islamico nel Regno.

D allora più di cinquanta cellule terroristiche islamiste sono state smantellate, metà delle quali sono risultate collegate a Islamic State. Al riguardo va ricordato che il Marocco è tra i maggiori contributori l jihad in termini di foreign fighters, che  seguito della debacle militare del “califfato” sui fronti di Ira e Siria potrebbero tornare nei loro luoghi di origine e quindi incrementare il livello della minaccia.

Il brutale assassinio delle due escursioniste scandinave ovviamente ha anche avuto riflessi negativi sul turismo, un settore chiave dell’economia marocchina che contribuisce al 10% del prodotto interno lordo del Regno e costituisce il secondo settore per impiego di manodopera nel Paese dopo l’Agricoltura.

Dopo alcuni anni di relativa stagnazione, proprio in ragione della sua immagine di paese sicuro nella regione, nel 2017 si era registrato un notevole aumento del flusso turistico, con oltre undici milioni di arrivi dall’estero.

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