ENERGIA, Iraq. Ministro del petrolio: ritiro staff ExxonMobil «inaccettabile e ingiustificato»

Il piano proposto da Trump si avvicina per il numero di forze previste all'invasione dell'Iraq nel 2003.

È «inaccettabile e ingiustificata» la decisione presa dalla compagnia petrolifera statunitense ExxonMobil di ritirare per ragioni di sicurezza il proprio personale impiegato nel giacimento di West Qurna 1, nel sud dell’Iraq. Lo ha dichiarato in un comunicato stampa il ministro del petrolio di Baghdad, Thamer al-Ghadban.

«L’evacuazione temporanea degli impiegati, nonostante il numero esiguo, non ha nulla a che fare con la situazione di sicurezza o con presunte minacce ai giacimenti del sud dell’Iraq: dietro ci sono ragioni politiche», ha affermato il ministro, che ha poi riferito di aver inviato una lettera ai vertici corporation americana dell’energia per chiedere di tornare immediatamente al lavoro nel giacimento evacuato.

Sono circa sessanta i dipendenti di ExxonMobil che hanno lasciato il sud dell’Iraq per essere trasferiti a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Secondo funzionari iracheni citati dall’emittente satellitare “al Arabiya”, l’evacuazione non ha avuto conseguenze sulla produzione, poiché le attività estrattive starebbero procedendo normalmente sotto la supervisione degli ingegneri del posto.

Lo staff di ExxonMobil ha abbandonato gli impianti in diverse fasi a partire da venerdì scorso. Uno sviluppo verificatosi nel contesto del recente aumento della tensione tra Stati Uniti e Iran nella regione . Giovedì mattina il dipartimento di Stato di Washington ha annunciato la sospensione temporanea dei servizi consolari nelle sedi diplomatiche irachene e ha chiesto al personale non di emergenza di lasciare il paese.

I rapporti tra Usa e Iran si sono andati fortemente deteriorando a seguito della decisione presa dall’amministrazione Trump di ritirarsi unilateralmente dall’accordo sul nucleare iraniano e di imporre nuove dure sanzioni alla Repubblica islamica. Da parte sua Teheran ha minacciato di sospendere alcuni degli impegni previsti dal piano d’azione globale congiunto del 2015 (JCPOA).

Inoltre, la scorsa settimana il Pentagono ha annunciato l’invio nel Golfo Persico della portaerei USS Abrahm Lincoln, questo mentre domenica scorsa quattro petroliere sono state oggetto di un sabotaggio a ridosso degli Stretti di Hormuz, in acque territoriali emiratine. In settimana il “New York Times” ha reso noto che la Casa Bianca starebbe esaminando un piano che prevede l’invio di 120.000 militari in Medio Oriente nell’eventualità che l’Iran colpisca obiettivi americani o acceleri il suo processo di arricchimento dell’uranio.

L’articolo del quotidiano fa riferimento a un incontro avvenuto lo scorso 9 maggio tra il presidente Donald Trump, il segretario alla difesa Patrick Shanahan e altri funzionari di alto livello. La revisione del piano militare sarebbe stata ordinata da John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente.

Sulla base delle notizie di stampa, i consiglieri non avrebbero parlato di un’invasione terrestre, ipotesi che richiederebbe lo spiegamento di un numero maggiore di forze sul campo. Tuttavia, ha proseguito il “Nyt”, «è altamente improbabile che Trump, che ha cercato di tenere fuori gli Usa da Afghanistan e Siria, alla fine mandi così tanti uomini in Medio Oriente».

Il 13 maggio, rispondendo a una domanda sul regime change a Teheran, Trump ha affermato: «Vedremo cosa succede con l’Iran. Se fanno qualcosa, sarà un errore madornale». Il piano proposto dai consiglieri a Trump – evidenzia la stampa Usa -, si avvicina per il numero di forze previste all’invasione dell’Iraq nel 2003. Tuttavia, al momento i rapporti tra i generali del Pentagono e i falchi dell’amministrazione in carica a Washington, Trump incluso, non sono certamente idilliaci, resta dunque da comprendere quanto sia concretamente esplorabile fino in fondo l’ipotesi di un azzardo militare oneroso come potrebbe essere quello contro l’Iran.

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