EUROPA, coesione a rischio. «Perché non possiamo non dirci europei»: criticità e opportunità dell’Unione europea 

Presentata alla LUMSA di Roma la Carta programmatica in 13 punti redatta dagli studenti dei Paesi membri. Obiettivi: educazione alla cittadinanza europea e progresso nell’integrazione. Democrazia e pace non sono scontate; è necessario intervenire sui Trattati, ma come? E quando?

La bandiera blu stellata attualmente rappresenta il segnale forte di un’identità debole, un tema importante e urgente dibattuto ieri pomeriggio alla Sala convegni Giubileo della Libera Università Maria SS. Assunta (LUMSA) di Roma.

«Perché non possiamo non dirci europei», da questo presupposto – per molti, a dire il vero, negli ultimi tempi trasformato dalla forma affermativa a quella interrogativa – si è sviluppato il dibattito su criticità, rischi e opportunità dell’Unione europea.

A pochi giorni dalle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo ci si attende un’affermazione dei partiti politici cosiddetti «sovranisti», seppure essa con ogni probabilità non gli farà ottenere una maggioranza a Strasburgo. Una consultazione dagli esiti ancora non pienamente prevedibili che è in grado di aprire scenari del tutto diversi da quello attuale.

Permangono dunque, e non a torto, gli interrogativi riguardo la situazione non certo brillante di un’unione di stati che negli anni ha perduto slancio nel suo processo di integrazione interna, incontrandovi seri limiti.

Le acute crisi economiche e finanziarie che hanno afflitto i Paesi membri, quella esplosa nel 2007-2008 negli Usa (a causa dei famigerati «derivati») e quella più recente del 2011 (dovuta stavolta ai debiti sovrani), hanno inciso negativamente anche sul sentimento dei cittadini europei.

Infatti, è stata seriamente messa in discussione la solidarietà interna, inoltre si è andato contestualmente ampliando il divario tra gli Stati membri, con quelli più forti (Germania, Olanda e “anseatici” vari) che non hanno esitato a impiegare come fosse una clava lo strumento della “troika”.

Da allora nel lessico comune hanno fatto ingresso neologismi come «grexit» e «brexit», un segno di tempi di turbolenze e impoverimento. Finirà il regime di austerità per alcuni?

La rapacità della finanza globale emersa da queste vicende ha portato all’accentuazione della disunione degli Stati europei nelle gestioni delle crisi, mentre si sono esacerbati gli attriti tra il nord e il sud dell’Unione.

La Grecia è divenuta un paradigma, la si cita come esempio di ripresa economica, di crescita del suo pil, ma a quale prezzo? E sulla base di quali percentuali e quali redistribuzioni del reddito? Nella realtà i costi sociali e di compressione della democrazia (il risultato di un referendum è stato sostanzialmente ignorato dal governo di Atene) sono stati enormi.

E qui sorgono ulteriori interrogativi, ad esempio per quanto concerne le politiche sociali: come è possibile realizzarle, restituendo loro “linfa vitale”, quando esistono marcati squilibri strutturali tra i vari Paesi membri?

Oggi la crescita a ripreso a rallentare, un trend che è anche il portato della situazione mondiale e al conflitto commerciale e strategico tra Usa e Cina Popolare, quindi un altro ostacolo.

È stato ipotizzato anche un intervento politico nel senso del mutamento dei Trattati attualmente in vigore, come ad esempio il Regolamento di Dublino. Ma, è stato osservato, attualmente riforme del genere rappresentano solo un auspicabile punto di arrivo, poiché sarebbero difficilmente realizzabili, con la conseguenza che la strada realisticamente percorribile resta quella di interventi a trattati costanti.

Sono molti gli argomenti oggi in agenda a Bruxelles e Strasburgo, ma non è chiaro se tutti verranno davvero affrontati fino in fondo. Si tratta del completamento dell’unione bancaria, l’armonizzazione delle politiche fiscali, l’adeguamento del bilancio dell’Unione. Insomma, il concreto completamento dell’unione monetaria e, magari, anche l’istituzione di un “ministro delle finanze europeo”. E poi gli investimenti e la ricerca.

Ma c’è un altro tema, in ombra, ma dirimente nel quadro della politica di difesa e di sicurezza comune che si vorrebbe realizzare, quello delle relazioni con i partner esterni all’Unione europea, affrontati dai vari Stati membri (soprattutto i più forti) sulla base di relazioni unilaterali.

Senza dimenticare il problema migratorio, che forse problema non è più, in quanto è divenuto un fenomeno evoluzionistico, dunque irrisolvibile per definizione. Tuttavia con esso si deve necessariamente fare i conti, il più lucidamente e razionalmente possibile. Ma è un fenomeno che ha generato divisioni e spaccature in seno all’Unione europea perché gli immigrati non li vuole nessuno.

Infine temi quali la democrazia e la pace, che non sono assolutamente scontati neppure in Europa, e sui quali si impone una riflessione anche attraverso uno sguardo retrospettivo al recente passato dei Balcani e del Caucaso, ma anche al presente, con il conflitto “congelato” in Ucraina e l’instabilità della sponda sud del Mediterraneo. Democrazia e pace non sono scolpite nel marmo, basti osservare le involuzioni in atto in alcuni Paesi membri.

Un quadro a tinte fosche dunque, che dovrebbe indurre a un profondo pessimismo, tuttavia non tutto è ancora perduto.

Intanto perché esistono opportunità che soltanto l’Unione europea può garantire, dato che i singoli stati nazionali non sarebbero in grado di farlo, poi perché le prossime elezioni potranno avviare una nuova fase di coesione interna.

È al Parlamento europeo, infatti, che si potranno rivedere le statuizioni dei trattati, poiché quello è il luogo dove divisioni e aggregazioni spesso non avvengono su base nazionale, bensì per effetto di interessi trasversali, laddove si è davvero «uniti nella diversità». Questo, di per sé già può infondere una dose di ottimismo nelle persone che hanno in parte perduto la fiducia.

Senza contare poi le nuove generazioni, poiché è loro il futuro. Come quegli studenti universitari che hanno redatto una carta programmatica articolata in tredici punti, riprendendo e rilanciando i principi propri della dichiarazione di Schumann del 9 maggio 1950, primo passo verso l’edificazione di un’Europa comune.

O come quelli che sono intenti a sviluppare il progetto “Europeissimo me”, incentrato sull’educazione dei bambini delle scuole elementari alla cittadinanza europea.

Essi affermano che ogni cittadino dell’Unione dovrebbe porsi la medesima domanda, quella che ha rappresentato la cifra culturale del loro progetto: «Perché non possiamo non dirci europei?».

 

Di seguito è possibile ascoltare direttamente la registrazione integrale del convegno (file audio A141A e 141B presenti anche nell’archivio insidertrend.it)

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