TELECOMUNICAZIONI, 5G. Cautela tedesca, successi cinesi, incognita italiana: il “pericolo giallo” esiste; Huawei, Zte e gli altri già sanno fare da soli il 5G, “chiavi in mano”

La tecnologia 5G, destinata a rivoluzionare l’universo delle telecomunicazioni, attraversa in maniera diversa da paese a paese la sua fase di sviluppo. Grandi le aspettative al riguardo, ma anche le cautele e i sospetti, rivolti entrambe ai produttori dei sistemi e alle loro intrinseche e non dichiarate intenzioni, Cina popolare in primo luogo. Infatti, chi realizzerà il sistema avrà anche la possibilità di introdurvi delle funzioni “spia”, o comunque condizionarne l’impiego.

 

Fantapolitica? È sperabile, ma non per questo si può rimanere con le mani in mano. Sono appena sfumati i clamori suscitati dalla visita del leader cinese Xi Jinping, col suo corollario di polemiche riguardo alla firma dell’ormai celebre “memorandum” d’intesa che – almeno a quanto è stato assicurato – dovrebbe per il momento accantonare la questione telecomunicazioni, rinviandola a un momento successivo  Sarà pure così, sta di fatto che alla cinese Huawei in Italia le strutture pubbliche hanno fatto riferimento da tempo (a titolo di esempio si pensi a Poste Italiane), mentre in altri paesi dell’Occidente si è invece deciso diversamente.

 

In Germania – la notizia era già nota, ma è stata confermata ieri dalle agenzie stampa specializzate – prosegue l’iter dell’asta pubblica indetta dallo Stato federale per la concessione dei blocchi di frequenze per il 5G (dalla quale vorrebbe ricavare almeno tre miliardi di euro), che vede contendersi quattro operatori del settore: Deutsche Telekom, Vodafone, Telefonica Deutschland e Drillisch Telecom AG. Questi ultimi hanno contestato la decisione del governo di Berlino, paventando una sottrazione di risorse ai successivi investimenti causata dai costi eccessivi. «Un calcolo politico – affermano i loro portavoce – che induce lo Stato a perseguire il massimo profitto dalla cessione delle frequenze», denaro che l’esecutivo guidato da Angela Merkel vorrebbe investire nella banda ultralarga della propria rete nazionale.

 

La determinazione della cancelliera e dei suoi collaboratori ha portato le società partecipanti all’asta a richiedere (mediante un’ingiunzione) il blocco della competizione, ma senza successo, poiché la corte amministrativa di Colonia ha respinto la loro richiesta.

 

Il regolatore tedesco ha comunque riservato alcune frequenze all’impiego nell’industria 4.0 e al complesso degli oggetti e dei sensori impiegati nelle industrie smart. Tutto si collega infatti, dato che il 5G corre di pari passo alle altre due parallele grandi innovazioni del nostro tempo, l’industria 4.0, appunto, e l’intelligenza artificiale (AI). Quest’ultima, in particolare, vede per altro i centri di ricerca cinesi compiere notevoli passi in avanti.

 

E i cinesi sono un avversario non facile, sia sul piano del confronto strategico globale che su quello dei mercati. È recente la notizia che Zte – l’altro colosso del settore di Shenzen, quarto produttore mondiale di apparecchiature per le telecomunicazioni – è tornato a fare utili proprio grazie al traino dello sviluppo nel 5G e malgrado le sanzioni di Trump. Se l’anno scorso il congelamento delle proprie attività, effetto delle politiche di contrasto poste in essere dall’amministrazione Usa, le avevano cagionato una perdita in termini finanziari nell’ordine del miliardo di dollari (7,8 miliardi di yuan), nell’ultimo trimestre del 2018 l’impresa cinese ha invece recuperato terreno maturando utili per oltre quaranta milioni.

 

Un recupero dovuto principalmente all’opportunità offerta dal processo di sviluppo della tecnologia 5G, nel quale Zte figura tra i fornitori “chiave”. È indice del progresso cinese nel settore, un dato che va tenuto presente quando si fa il punto della situazione sul terreno anche attraverso comparazioni tra i gruppi industriali. A questo punto sorge spontaneo svolgere una considerazione di massima che induce a porsi un dubbio: se allo stato delle cose i centri di ricerca e sviluppo cinesi, unitamente al loro sistema industriale, sono già in grado di realizzare l’intero pacchetto 5G “chiavi in mano” facendo a meno dell’aiuto americano (comprese le forniture di semiconduttori) – che, dunque, non sarebbe indispensabile, almeno secondo quanto riferiscono alcune fonti accreditate –, è lecito pensare che non sia poi così ridotto il gap accumulato dai consorzi di imprese occidentali nei confronti del gigante asiatico. Questo vorrebbe dire che Ericsson, Nokia, Samsung e Cisco si troverebbero in maggiori difficoltà sul tempo rispetto a Huawei e Zte, poiché non si tratterebbe soltanto di un ritardo tecnologico di sei-dodici mesi nei confronti dell’avversario, ma di qualcosa di più, forse non del tutto colmabile.

 

Una riflessione indefettibile anche per i decisori politici italiani, alle prese con la patata bollente del memorandum. Già, poiché quella delle telecomunicazioni del futuro è una questione estremamente delicata che presta il fianco all’esposizione nei confronti di pericolose vulnerabilità. Soprattutto quando si arriverà all’esercizio vero e proprio. Nella sua prima fase, quella di implementazione, laddove la rivoluzionaria tecnologia, qualora dovesse avere gli occhi a mandorla, dovrà necessariamente appoggiarsi al sistema esistente. Lì si correranno i rischi veri, perché sarà difficile capire se il partner del momento si comporterà in maniera specchiata, senza infilarci dentro di nascosto back-doors o altre diavolerie che gli permetteranno non soltanto di carpire i nostri segreti, ma anche di condizionare il funzionamento del sistema. Una bella gatta da pelare per Palazzo Chigi.

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