ALBANIA, tensioni politiche. Ancora incidenti a Tirana, sotto assedio il parlamento, ma Edi Rama non si dimette

Tirana, 26 febbraio 2019 – Divampa ancora una volta la violenza politica nella capitale albanese. Manifestanti dell’opposizione hanno nuovamente circondato il complesso dell’Assemblea nazionale per protestare contro il governo monocolore socialista presieduto da Edi Rama.

Oggi, però, a differenza delle dimostrazioni dei giorni precedenti si sono verificati scontri tra le frange più estremiste dei contestatori e le forze dell’ordine. I manifestanti hanno appiccato il fuoco a dei copertoni e hanno lanciato dei fumogeni contro i poliziotti, che a loro volta hanno risposto con delle cariche e con il lancio di candelotti lacrimogeni per disperdere la folla assembratasi nei pressi della sede del parlamento. 

Secondo i resoconti della stampa albanese, in serata i manifestanti – tra i quali erano presenti i due principali leader dell’opposizione Luzin Basha e Monika Kryemadhi – hanno tentato di travolgere il cordone delle forze dell’ordine poste a difesa del parlamento, all’interno del quale in quel momento si trovavano esclusivamente parlamentari della maggioranza socialista.

I poliziotti hanno risposto all’assalto con il lancio di gas lacrimogeni (che avrebbero provocato l’intossicazione di alcune persone, in seguito ricoverate in ospedale), mentre dalle file dei dimostranti sono stati lanciati degli oggetti e dell’inchiostro contro gli agenti. A quel punto i capi politici dell’opposizione si sono allontanati dalla zona dei tumulti. In precedenza, alcuni dei manifestanti radunatisi nel centro di Tirana avevano aggredito il ministro Blendi Klosi (titolare del dicastero del Turismo e dell’Ambiente) e il parlamentare Paulin Stërkaj mentre questi stavano entrando nella sede parlamentare.

Pochi giorni fa, malgrado il forte clima di tensione, le manifestazioni di massa avevano avuto luogo senza incidenti. In particolare, nei giorni scorsi un migliaio tra agenti e militi della Guardia Repubblicana (Garda e Republikës) avevano letteralmente blindato il parlamento cingendolo di filo spinato, evitando così che la sede istituzionale rappresentativa del popolo albanese.

Il premier, che continua a mantenere una maggioranza politica nel Paese, è l’oggetto principale delle accuse dell’opposizione guidata dal leader del Partito Democratico Luzin Basha, che, sostenuto anche dall’altra formazione politica all’opposizione, il Movimento Socialista dell’Integrazione, chiede le dimissioni dell’esecutivo attualmente in carica e lo svolgimento di elezioni anticipate.

A Rama – almeno al momento lungi dal lasciare l’incarico – e alla sua compagine di governo, seppure venga riconosciuto l’aver fatto compiere dei passi in avanti all’Albania verso l’integrazione nell’Unione europea, vengono tuttavia mosse pesanti accuse in ordine alla scarsa determinazione nella lotta ai due mali endemici del Paese, la corruzione e l’imperversare della criminalità organizzata.

Secondo Nicola Pedrazzi, giornalista esperto di Albania che collabora con l’Osservatorio sui Balcani e il Caucaso, l’esasperazione che nei giorni scorsi ha portato la folla a cercare di occupare con la forza il palazzo del governo risiederebbe nel malcontento generato da alcuni fattori ben definiti. In una democrazia giovane e ancora debole agisce un sistema politico clientelare. Al momento la destra del Partito Democratico, che fu di Sali Berisha, gestisce sostanzialmente la protesta contro il socialista Edi Rama, confermato al governo nel 2017. Lo scontro, però – prosegue il giornalista italiano -, non andrebbe collocato in uno schema ideologico, bensì nella classica lotta per la spartizione del potere.

Esiste un disagio sociale di fondo che non sempre riesce a essere rappresentato dall’esistente società civile e dai corpi intermedi che essa è in grado di esprimere. Anche se l’economia cresce a un tasso annuo del 4%, i salari corrisposti ai lavoratori sono bassi (mediamente l’equivalente di circa 300 euro mensili) e solo attraverso una delocalizzazione nei settori industriale e terziario può venire assorbita parte della elevata disoccupazione giovanile del Paese. Una situazione, questa, che induce molti a emigrare, come i 22.000 cittadini albanesi che lo hanno fatto nel 2017.

Dal paese delle Aquile quando possono migrano anche i cervelli, poiché studiare in una università pubblica albanese – malgrado la riforma varata nel 2015 – comporta in ogni caso sacrifici impossibili per buona parte delle famiglie degli studenti, che vedono divenire impossibile l’accesso allo studio. E dunque anche gli studenti sono scesi in piazza contro il governo socialista che aveva introdotto ricette liberiste. Ma, non essendo ancora l’Albania un membro della Ue, queste persone per restare nei paesi ospitanti hanno dovuto ricorrere all’escamotage della richiesta di asilo politico.

I toni cupi di un quadro non esaltante della situazione vengono comunque mitigati dalla operazione di immagine condotta con successo dal premier Rama sui media internazionali.

Condividi: